Paolo Fresu trombettista sardo dalle sette vite e forse più. Paolo Fresu flicornista, compositore, direttore d'orchestra, tiene concerti in tutti i continenti e ha un numero ormai imprecisabile di dischi a suo nome. Ha fondato nel 1988 il festival Time in Jazz a Berchidda, la cittadina in provincia di Olbia/Tempio dove è nato nel 1961 e lo dirige tuttora; da quest'anno, come non bastasse, è direttore artistico anche del festival del jazz di Bergamo, uno dei più antichi e prestigiosi d'Italia. Ha casa in tre luoghi strategici per la sua attività: Parigi, Bologna e naturalmente Berchidda. Il nostro incontro avviene nella hall di un albergo di Milano dove Fresu, di ritorno dal Canada, è approdato per tre sere di concerti (mercoledì, giovedì e venerdì) al club Blue Note, prima in duo con il chitarrista vietnamita Nguy en Le, poi ancora in duo con il pianista balcanico Bojan Z. e infine con il suo Devil Quartet che comprende Bebo Ferra chitarra, Paolino Dalla Porta contrabbasso e Stefano Bagnoli batteria.
Quando gli parlo delle sue case, sorride e dice: «Mi trovo bene in tutt'e tre, ma le mie radici sono a Berchidda. Le volte che posso ci ritorno. E scopro che sto meglio che altrove, sia pure per poche ore». Adesso che ha 48 anni, la stessa età di Wynton Marsalis; adesso che è un personaggio mediatico noto in tutto il mondo ed è carico di riconoscimenti e di premi, Fresu ha voglia soprattutto di voltarsi indietro e di rivisitare i suoi esordi dei quali si scrive poco. «Ho qualche problema perfino io a parlare dei miei concerti che sono tanti, direi anzi troppi. Nell'immediato ho l'inaugurazione, il 28 febbraio, del jazz festival di Piacenza dove presento in prima assoluta delle composizioni inedite di Chet Baker; poi torno a Milano il 2 marzo per suonare allAuditorium, con la Koçani Orkestar, l'orchestra macedone, poi vado in tour europeo con il fisarmonicista francese Richard Galliano e con il pianista svedese Jan Lundgren, mentre comincio a preparare il prossimo festival di Berchidda... Forse è meglio che ci limitiamo a parlare di dischi».
Va bene, parliamone.
«È appena uscito per l'etichetta Blue Note un mio cd con il pianista Uri Caine e con l'Alborada String Quartet, il quartetto d'archi con il quale lavora mia moglie Sonia. Ne sono molto soddisfatto perché, riascoltandolo, noto che il mio rapporto con Uri si è assai approfondito rispetto al primo cd che abbiamo realizzato, e anche rispetto ai numerosi concerti che riusciamo a fare tra un aereo e l'altro. Verso la prossima estate è previsto il mio debutto con la Ecm, e anche questa sarà una grande soddisfazione: ho registrato il disco in duo assolutamente acustico con Ralph Towner che usa tutte le sue chitarre. Mi fermerei qui».
Un momento. Mi deve permettere ancora due domande di attualità. La prima: che cosa pensa del jazz italiano del Duemila?
«Ne ho un'opinione molto positiva. È uno dei più interessanti al mondo per qualità e anche per quantità, ha una vitalità creativa impensabile nel passato ed è intriso oltretutto di realtà diverse da zona a zona. A questo proposito devo aggiungere che a mio parere, Milano non è più la capitale italiana del jazz come una volta. Se dobbiamo per forza sceglierne una, direi che oggi il titolo spetta piuttosto a Roma».
La seconda. Che cosa risponde a chi la rimprovera (si fa per dire) di rassomigliare un po' più del dovuto a Miles Davis?
«Miles è stato un grande uomo contemporaneo, un personaggio illustre del Novecento, oltre che un sommo musicista. È impossibile ignorarlo, specie per chi suoni il suo stesso strumento. Tuttavia, posso ammettere di evocarlo soltanto quando uso la sordina. Ma la sordina ha mille sfumature diverse: come si può ricondurla a un'unica influenza?»
Adesso possiamo ritornare al passato.
«Ho ottenuto il diploma di trombettista nel 1984 a Cagliari e ho deciso subito di vivere soltanto di musica, malgrado alcune offerte di lavoro come insegnante. D'altronde, suonavo già in pubblico da due anni: nel 1982 avevo lavorato per la prima volta nel continente, come diciamo noi sardi, cioè per la Rai e a Roma e dintorni. Nel 1983 ho avuto un notevole successo che ricordo con piacere all'Anfiteatro di Cagliari, molto più piccolo e autentico di com'è adesso. Con me c'erano Paolo Damiani, Ettore Fioravanti, Giancarlo Schiaffini... ».
...E il sassofonista Gianluigi Trovesi che, gigantesco com'è, aveva per lei l'atteggiamento amorevole di una chioccia verso il pulcino.
«È verissimo. Risale a quel tempo anche il mio debutto al Capolinea di Milano. Del 1984 è il mio primo disco per la Splasch e la vittoria come nuovo talento nel Top della rivista Musica Jazz. Allora c'era il premio RadioUno Jazz, ho vinto anche quello.
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