Cultura e Spettacoli

Jeans: l’armatura pop

Piccola storia del capo d'abbigliamento più "globale" che ci sia. Targato Usa, ma con ascendenze francesi, italiane, lituane e polacche. Tutto ebbe inizio nel '500: Genova li vendeva all'Inghilterra di Enrico VIII

Jeans: l’armatura pop

Freddi d’inverno e caldi d’estate. Stretti all’inguine, tanto da compromettere - secondo serissimi studi medici - la fertilità maschile. Sul versante femminile, addirittura «corazzati», se una sentenza della Corte di Cassazione italiana li equipara ad una «cintura di castità», considerandoli invalicabile ostacolo alla violenza carnale. Non si tratta di un’arma di distruzione di massa, ma dei blue jeans, uno fra i simboli - come la Coca Cola, le Marlboro e le telenovelas - dell’impero che ha vinto. Sostanzialmente, un potente strumento di omologazione e un colossale affare economico che, al momento, riguarda un miliardo e 800 milioni di capi d’abbigliamento l’anno... Di cui Remo Guerrini ha raccontato la storia - una vera epopea - nel volume Bleu de Gênes. Piccola storia universale del jeans (Mursia, pagg. 162, euro 12).

Al pari di tutte le vere tradizioni americane, i jeans affondano saldamente le loro radici in Europa. A partire dal nome. La parola «jeans» deriva da Genova, ed è una storpiatura anglosassone del francese Gênes. Già nel Cinquecento, ai tempi di Enrico VIII, il tessuto proveniente dalla città ligure, in Inghilterra è chiamato «jeans». Il «Denim», nel linguaggio comune è quasi un sinonimo, ma si tratta di un’altra cosa. Il termine ha infatti origine da Nîmes (con Genova e Ginevra, altro vertice del «triangolo della seta»). Qui, la famiglia André produce un tessuto, chiamato serge de Nîmes, contratto poi semplicemente in Denim. Le differenze tra le due stoffe - entrambe blu - stanno nell’«armatura», ovvero nel diverso intrecciarsi di trama e ordito, cioè filo orizzontale e filo verticale.
Italia e Francia, quindi, si contendono la paternità dell’indumento più diffuso al mondo... Ma non sono le sole. Esempio da manuale del melting pot americano, i nostri calzoni hanno ascendenze ebree tedesche, inglesi, lituane, polacche, e sono diventati uno fra i simboli della globalizzazione.

Il 20 maggio 1873, l’ebreo tedesco Levi Strauss e il sarto lituano Jacob Davis brevettano un paio di pantaloni di cotone cuciti anche con rivetti metallici. All’inizio si chiamano overalls, ma anche dungaree (dalla località indiana vicino Bombay dove si producono certi larghi pantaloni di cotone grezzo e pesante): sono workwear, cioè vestiti da lavoro. Alla loro origine minatori e cercatori d’oro, operai, contadini, mandriani, muratori, ferrovieri e meccanici: manuali abituati alla fatica che necessitano di un indumento robusto e protettivo. Proprio i rivetti metallici che li caratterizzano, saranno contestati dai cowboy, perché graffiano le selle di cuoio... Per rimediare, i grandi marchi, da Levi’s, a Lee, a Wrangler, provvederanno a ricoprirli sul retro di stoffa «antigraffio». Lo stesso problema si porrà più tardi, dopo lo sdoganamento in società, perché adesso le cuciture di metallo danneggiano i mobili...

Queste e molte altre curiosità emergono nel libro di Guerrini, che è un lungo reportage. In cui trovano posto la storia del cotone e le sue miserie, l’epopea del West, le grandi guerre e la depressione del ’29. Ancora, le vicende di Singer e delle sue prime macchine cucitrici, la storia della musica e del cinema, l’evolversi dell’industria bellica. Fino all’avvento delle griffe, passando per il colore e i progressi della chimica, la contestazione e i rapper.

Scopriamo così che Elvis Presley - cui fu dedicata una linea di jeans di grande successo - in realtà odiava indossare questo capo d’abbigliamento, che gli ricordava troppo le sue umili origini. Che l’eroe dei fumetti Tex Willer porta jeans coi passanti, che non esistevano nel vecchio West... Che, nel ’51, al cantante Bing Crosby, di ritorno da una caccia in Canada, fu impedito l’ingresso in un hotel di Vancouver, perché indossava i denim. Ma l’Associazione degli albergatori americani rimediò facendogli recapitare uno smoking (all’epoca tuxedo) doppiopetto su misura, in puro jeans blu scuro, con un’etichetta cucita all’interno della giacca che gli garantiva degna ospitalità in qualsiasi albergo, comunque fosse vestito.

Oggi, i jeans li ostentano pure i presidenti degli Stati Uniti, da Clinton a Bush. Di recente, Barack Obama ne ha ricevuto in dono un paio da un’azienda italiana, la Cover Manifattura di Pianezza (Torino).

Si tratta dei Silver chinos: bottoni in argento massiccio, costo 400 dollari, taglia 52.

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