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Da Jobs alla Pellegrini: i miti dei giovani Pdl

Viaggio tra le future leve del centrodestra, in vista della festa di Atreju: leggono i racconti di Chatwin e hanno sdoganato i rossi Guccini e De Gregori

Da Jobs alla Pellegrini: i miti dei giovani Pdl

RomaAtreju è il protagonista de La storia infinita di Michael Ende, un decenne impegnato a combattere contro le forze del nulla che avanzano. Più o meno quello che fa un giovane medio nel nostro Paese (ma non solo). Per questo Atreju è il nome della festa dei giovani del Pdl che si svolge tutti gli anni a Roma al Parco del Celio. Quest’anno l’edizione numero 13 si svolgerà dal 7 all’11 settembre e come ogni anno sarà affollata di esponenti della maggioranza e dell’opposizione, in cerca di guai e stimoli davanti a una platea «under» che ama sbeffeggiarli un po’. A Massimo D’Alema, per dire, fu fatto credere che esistesse l’idea di dedicare un’aula dell’europarlamento a tale Friederich Kemp, unica vittima della caduta del muro di Berlino.
Atreju è un buon punto di partenza per capire che cosa sono oggi i giovani del Pdl. Intanto intendiamoci: la cosiddetta «fusione a caldo» delle due anime del centrodestra, quella storica e di opposizione dell’ex An e quella liberista e di governo dell’ex Forza Italia, ha riguardato solo in parte i due patrimoni di simboli, culture e immaginari giovanili. Difficile e nemmeno necessario. Se però si vuole cercare di costruire un pantheon, si può più agevolmente frugare nelle tradizioni della destra estrema che in quella «azzurra», per statuto post-ideologica. Anche qui però non mancano le sorprese: è vero che esiste ancora il retaggio tradizionale di chi ha l’orgoglio di essere contro tutto e tutti (e che imbarazzo trovarsi, ora, al governo), di chi ha menato le mani quando serviva - ma questo agli «under 30» è successo davvero poco -, di chi conserva una sana vocazione beffarda, critica ma da destra con la globalizzazione del felici-e-contenti, fortemente incline alla spiritualità e al misticismo e sedotta dalle ambientazioni nordiche e nebbiose legate alla simbologia guerresca e mitologica, più ancora che dal bric-à-brac impolverato del fascismo nostrano, lasciato a chi ha una carta di identità più pesante. Vero tutto. D’altra parte però si fa strada la necessità e la voglia di pescare in un universo più vasto spalancato dalle nuove tecnologie, dal catalogo sterminato delle suggestioni culturali spesso senza etichette. La mescolanza, il meticciato e il cross-over, avvicinati da sempre alla sinistra, in realtà abitano volentieri in alto e in basso a destra.
Ecco così che il personaggio mito di quest’epoca calamitosa è Steve Jobs, l’uomo che ha insegnato come si cambia il mondo solo con la forza delle proprie idee. Ecco che, spento Facebook, si va in vacanza in tenda o in un campo antincendio (e una volta lì si riaccende, Facebook). Ecco che tra i miti spunta Federica Pellegrini e la sua spavalda voglia di vincere. Ecco che le letture non sono più soltanto Tolkien e Michael Ende - fronte saghe - o Camus e Marinetti - fronte politico-poetico. Ma Bruce Chatwin, viaggiatore irrequieto armato di taccuino e curiosità. John Fante, anticomunista e politicamente scorretto. E Mordechai Richler, spirito libero e sarcastico: uno che avrebbe sempre votato extraparlamentare, per un cicchetto e un bel culo femminile. Si legge anche l’ultimo premio Strega Edoardo Nesi cercandovi accorati i toni preoccupati sull’economia italiana. E la musica? Qualche gruppo alternativo di rock nero c’è ancora (ZetaZeroAlfa), ma il resto è più mainstream: Lucio Battisti - morto - è un padre spirituale (ma l’omonimo Cesare - vivo - uno da estradare al più presto), Ligabue uno da cantare a squarciagola senza farsi tante domande e all’occorrenza nell’ipod finisce anche qualche cantautore rosso per definizione: Francesco De Gregori e Francesco Guccini. E poi, tutti in discoteca: è qui la festa.
Poi, l’identità, che vuol dire, è un’altra cosa. Il tricolore, ad esempio, qui era di casa molto prima che la sinistra se ne appropriasse in funzione antileghista.

Dove eravate voi mentre noi sventolavamo la nostra bandiera?, chiedono all’altra parte. Per poi rispondersi: magari a inneggiare a un guerrigliero cubano?

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