Cultura e Spettacoli

Joe Dante spiega ai ragazzi i mostri della nostra anima

VeneziaIn attesa dei Leoni, c’è il premio Persol 3D. L’ha vinto un film fuori concorso, almeno per la Mostra: The Hole (Il buco) di Joe Dante. È il primo film a (relativamente) basso costo in 3D. E si tenga presente che questo accorgimento tecnico fa sì che un film costi un quinto in più. Segno che l’onda 3D s'ingrossa. Entro un anno diverrà alta, ponendo un’altra sfida al cinema europeo e in particolare a quello italiano.
The Hole - è il terzo film da festival a intitolarsi così nel giro di dodici anni - schiera giovanissimi attori esordienti o adulti poco conosciuti, come Bruce Dern e Teri Polo, e punta sull’atmosfera più che sugli effetti speciali. Dante sa sfruttare le possibilità che dà il 3D, maggiori nelle inquadrature dall’alto in basso. Ma non ci mostra chi abita nel buco, finché non decide di uscirne. E allora, visto che siamo così abituati a mostri in massa, restiamo quasi delusi. Il buco è la porta dell'inferno? Ma perché dovrebbero esserci finite anime di vittime, innocenti anche per età, e di chi vittima è diventata a sua volta per salvarle?
Lo sceneggiatore Mark L. Smith (Vacancy) pare intendere il buco accesso dell’Ade. Questo almeno ci evita il ricorso a simboli religiosi, quando il pericolo sotterraneo si manifesta. La vicenda non è sanguinolenta. Evoca piuttosto la psicoanalisi, in voga a Hollywood negli anni Quaranta-Cinquanta. Più che zombi e vendicativi, questi morti incarnano le paure di ognuno dei personaggi.
«L’inferno sono gli altri», diceva Sartre. L’inferno siamo noi, con le nostre paure e i nostri rimorsi, dice The Hole. È la stessa tesi de Il pianeta proibito (1956), classico della fantascienza che Dante vide da bambino: lì si era su Marte e fra adulti (il protagonista era Leslie Nielsen, celebre trent’anni dopo per la serie Una pallottola spuntata), ma la sostanza è la stessa. La scenografia attinge alle geometrie sghembe del Gabinetto del dottor Caligari, come ai sogni di Gregory Peck in Io ti salverò di Alfred Hitchcock.
Di solito i personaggi dei film d’orrore adolescenziali sono burattini infoiati, in attesa di una fine orrenda. Invece Dante dà spessore, non pruriti, ai suoi ragazzini. Tutto ruota attorno alla loro infelicità coi genitori. La ragazza dice di aver famiglia, ma i genitori sono invisibili; i due fratelli, neo-arrivati da Brooklyn (stessa origine di Dante), hanno solo la madre; quando spunta il padre, non è precisamente un buon padre.
In realtà The Hole è l’ennesima storia sugli esiti dei divorzi che ha trovato la via dello schermo da quando Washington - governava Clinton - ha suggerito a Hollywood che la ricreazione era finita e che l’America declinava perché erano declinate le sue istituzioni familiari. Dante si stupisce quando gli chiedo se, per ora, il 3D sia più che altro un costo: «A Hollywood - mi dice - lo si vede solo come un modo di guadagnare di più». Sarà, ma siamo della stessa generazione. E a me sovviene che il 3D prima maniera, anni Cinquanta, quando era l’arma segreta del cinema contro la tv emergente, fece sì una fiammata, ma solo per bruciare le dita a chi lo voleva imporre.
Così spiega quel fiasco Dante: «All’epoca, oltre a mettere gli speciali occhiali, occorrevano due proiettori perfettamente sincronizzati, altrimenti l’immagine si sdoppiava. Quasi mai i cinema ci riuscivano: così che non abbiamo mai visto la versione 3D dei film di Hitchcock! Ora, col digitale non c’è più questo rischio tecnico».
Gli chiedo come spiega tanto orrore in una Mostra che finora aveva considerato il genere, come del resto la fantascienza, il grado zero del cinema. «Cambiano le generazioni - risponde - che vanno al cinema. Ora ci vanno quasi solo i ragazzi. Convinti d’essere immortali, si divertono con la morte altrui». Lei non pensa di essere immortale, dunque che cosa la spinge? «Proprio la paura della morte.

Voglio sconfiggerla raccontandola».

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