Decine di gole tagliate, sangue a fiotti. Macelleria e cannibalismo catturano Tim Burton, che riduce il suo solito personaggio, il letale deviante - si chiami Edward Mani-di-Forbice o, come stavolta, Sweeney Todd Mani-di-Rasoio - a maniaco assassino.
Siamo nella Londra ottocentesca di Dickens e Marx: i saccheggi nell'Impero mantengono il decoro delle classi alte; a quelle basse restano fame, sporcizia, malattie, abbrutimento. Il giudice (Alan Rickman) incarna le prime; il barbiere (Johnny Depp), cui il giudice ha sottratto moglie e figlia, le seconde. Giudice e barbiere uccidono sereni: l'uno spedisce anche i bambini in galera (accade ancora, ma negli Stati Uniti) o sulla forca; l'altro punisce chiunque porti la cravatta.
Burton polarizza la società non perché è rozzo, ma perché non è quella a interessargli: essa è il coro della tragedia del barbiere, talmente buono, prima, da non accorgersi che così va il mondo; talmente malvagio, poi, da non accorgersi che lui è ormai peggiore del mondo stesso.
Allora perché consigliare Sweeney Todd, eccessivo, a tratti stomachevole, agli adulti (non certo ai ragazzini)? Perché il film mostra dove porti vendicare indefinitamente orrori patiti in passato. Vendicarli non sui responsabili, ma su chiunque intralci, presumendosi titolari del dolore assoluto, che si converte in rancore assoluto. «Non perdonare, non dimenticare» è l'etica del personaggio, ben riassunto dallo slogan del film.
SWEENEY TODD di Tim Burton (Usa/Gb, 2007), con Johnny Depp, Helena Bonham-Carter. 110 minutI
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