JonBenet e il mitomane, bufera sulla polizia

da Denver

L'omicidio della baby-modella JonBenet Ramsey continua ad essere un incubo per la polizia del Colorado che ha accumulato finora solo brutte figure nella caccia al misterioso killer. L'ultima della serie è giunta lunedì con l’ammissione che John Mark Karr, il maestro pedofilo arrestato due settimane fa in Thailandia per l'uccisione della bimba nel 1996, è solo un mitomane: aveva confessato di essere l'assassino solo per diventare il protagonista di una vicenda che per anni lo ha ossessionato. Ieri la District Attorney Mary Lacy, in una imbarazzata conferenza stampa, ha ammesso che gli inquirenti avevano solo la sua presunta «confessione» come prova del suo coinvolgimento nell'omicidio.
È stato un incontro di ossessioni. Gli inquirenti di Boulder (la cittadina del Colorado teatro del giallo) sono da anni alla disperata ricerca del killer. Quando Karr ha ammesso di avere ucciso la piccola la notte di Natale del 1996 nello scantinato della villa miliardaria dei genitori dopo averla prelevata dal suo letto, la District Attorney Mary Lacy ha ordinato il clamoroso arresto pur sapendo di non avere in mano alcuna prova.
A portare gli inquirenti sulla pista di Karr in Thailandia era stato un professore di giornalismo della Università del Colorado, Michael Tracey, che per anni aveva ricevuto messaggi e-mail dal maestro, sotto lo pseudonimo Daxis, dove il maniaco confessava di avere ucciso la bimba. Nei messaggi il maestro rivelava di avere avuto per anni rapporti sentimentali e sessuali con bambine (preferibilmente di sei anni, la stessa età di JonBenet) e di avere ucciso accidentalmente la piccola mentre le stringeva la gola «per aumentare il piacere sessuale del nostro rapporto».
I messaggi contenevano dettagli sulla morte della piccola, strangolata col metodo della garrota dopo essere stata colpita con violenza al cranio, che avevano portato gli inquirenti, messi in allarme dal professore, a seguire la pista di Karr, individuato mentre stava per iniziare un nuovo incarico di insegnante a Bangkok.
Gli agenti Usa avevano tentato di ottenere di nascosto campioni di Dna prima del suo arresto impadronendosi di oggetti da lui usati (come tovaglioli e fazzoletti di carta) ma i campioni erano stati giudicati insufficienti dai tecnici di laboratorio. Solo giovedì scorso, giunto in manette in Colorado, gli inquirenti erano riusciti a prelevare un campione di saliva per fare un confronto del suo Dna con quello lasciato dal killer negli indumenti intimi della bimba. Sabato era giunto il risultato: Karr non era il killer.


L'indagine sulla uccisione di JonBenet era partita col piede sbagliato fin dal primo momento: gli agenti accorsi per primi alla villa dopo la denuncia dei genitori al «pronto intervento» della sparizione della bimba si erano accorti solo dopo alcune ore che il corpo di JonBenet era nella cantina della casa. Gli inquirenti avevano sospettato inizialmente dei genitori, una pista poi rivelatasi sbagliata. L'arresto di Karr è solo l'ultima brutta figura accumulata dagli sfortunati inquirenti del Colorado.

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