José: «E io non ci casco... Voglio far felice Moratti»

nostro inviato a Madrid

Wesley Sneijder lo dice a tutti. Gigantesco e profetico nella sua foto poster, appesa ai muri della metropolitana di Madrid: «Conquista Madrid, conquista il mondo». Un’idea pubblicitaria, d’accordo, ma un’idea di popolo. Sì, il popolo nerazzurro non sta più nella pelle, e nemmeno nelle maglie visto il caldo. È uno sciame, un fiume, una marea. Per ora un’Italia diversa, meno ultrà e più goduriosa, meno esagitata e più accettabile. «Siamo felici di essere in questo posto meraviglioso, sentiamo intorno a noi la felicità», ha riassunto Moratti dopo aver carezzato al solito il suo tecnico “a tempo determinato”, inseguito con lo sguardo i movimenti dei calciatori nell’ultimo allenamento nella cittadella del Real Madrid, sul campo intitolato ad Alfredo Di Stefano.
Felicità è il termine che spunta con più frequenza nelle parole della gente nerazzurra, una sorta di grimaldello scacciapensieri. Mourinho lo ha usato per una dedica al presidente. «Vorrei renderlo felice, vederlo piangere, con la coppa in mano, veder finalmente la sua foto sorridente accanto a quella del padre. Renderei felice tutta la famiglia». Ma senza dimenticare cos’è il calcio, ovunque: in Italia, Spagna o Portogallo. «L’altra Italia tiferà per il Bayern. Non venitela a raccontare: capita dappertutto. E va bene». Difficile dargli torto. Alla faccia dei chiacchieroni bipartisan.
Allora, vedetela, vediamola così: stasera l’Inter andrà a caccia del suo elisir di felicità, cerca l’Eldorado (copyright di Mourinho) che nel mondo del pallone si chiama Champions League. Mou sarà in testa a tutti, forse l’ultima. Un’idea che ieri non doveva abitare nella testa di alcuno. Lo ha detto lui, lo ha confermato Moratti, se ne sono fatti portavoce i giocatori. «Dopo sarà quel che sarà, ma ora lasciateci godere il momento».
Le ultime parole famose, e qualche volta fumose, eliminano ogni dibattito tecnico. Mou lo fa per scelta, gli altri si adeguano. Mozioni dei sentimenti e poco più. Salvo qualche graffio da restituire a Louis Van Gaal. L’olandese è stato un maestro, il portoghese l’allievo più furbo. «So cosa vuole, ma non glielo darò». Una battuta che spiega la partita a scacchi di questa settimana. Van Gaal che dice: «Giochi difensivo». L’altro che replica seccato: «Non è vero, avrà visto solo la partita con il Barcellona». Sintesi: Van Gaal non mi avrai tutto all’attacco a subir randellate. Attacca tu e vediamo a chi scappa da ridere. E da ridire.
Sarà questo il tema della partita, tipico gatto e volpe. L’olandese più scontato, l’Inter con qualche variazione sul tema. Vediamo chi è il più furbo? Ieri Mou pareva un pastore evangelico, quasi sonnolento. Ha raccontato tutto di sé. «Volete sapere la mia vigilia? Eccovela: mi sveglierò e il cuore batterà un po’ più veloce, la temperatura del corpo sarà un po’ più alta. Poi lavoro e allo stadio. Ma quando scenderò dal pullman tutto sarà finito, mi sentirò nel mio habitat. Il mio sarà sempre un sogno, mai un’ossessione».
E, allora, meglio nascondersi, raccontare due volte (due!) di aver pianto a Stanford Bridge. Meglio dedicare uno zuccherino all’arbitro. Inter e Bayern quest’anno hanno goduto dei maggiori vantaggi. Mou non è d’accordo con la tesi. «L’arbitro vuole vincere come noi. Per questo mi fido. Anche per lui la finale di Champions e quella del mondiale sono l’Eldorado». Ha previsto tutto, teme solo un imprevisto. Lo scherzo della scaramanzia. Come fare? Buttare la palla nell’area tedesca e ricordare che il Bayern ha già preparato le maglie celebrative. «Il pullman e la festa. Noi niente». Così si vince? Forse. Peccato che un giornalista di «Soviet Sport» gli rovini l’incantesimo. Gli regala una finta corona d’oro.

Mou deve sentir freddarsi il sangue. Inventa la trovata: «Ed io ricambio con la mia tuta». Se la sfila, e sposta a sinistra la corona. «Tienila tu», dice al capo della comunicazione. Semmai servirà stanotte: in testa o nel cestino.

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