Quando si parla di Juan Diego Florez, tenore peruviano, appena trentatreenne, i superlativi non si contano. Fra i tenori lirici «di agilità», specialisti nel belcanto, è il numero uno, senza ombra di dubbio, e ancora non si intravede allorizzonte chi possa fargli ombra.
Florez, figlio di un chitarrista, è nato e cresciuto allombra di Rossini. Al suo festival di Pesaro, giusto dieci anni fa, debuttò in «Matilde» di Shabran e fu anche la sua consacrazione. Da allora i più grandi teatri se lo contendono e finora non ha mancato un colpo. Eppure sono più di trenta i ruoli da protagonista che ha in repertorio, e non solo rossiniani (ha cantato anche Bellini e Donizetti, Gluck e Puccini, Paisiello e Nino Rota) ed oltre una settantina le serate in cui, ogni anno, lo si può ascoltare fra il Metropolitan e la Scala, o a Salisburgo, a Vienna, a Londra e Berlino. E dunque chi lamenta che non esistono più le voci di un tempo, deve ricordarsi che esiste Diego Florez e che quindi il tenore di agilità è tuttora ben rappresentato; quelle che mancano semmai sono le voci «drammatiche», gli eredi di Placido Domingo per intenderci e, solo in parte, di Pavarotti.
Per il recital romano, accompagnato al pianoforte da Vincenzo Scalera, suo abituale partner, Florez ha scelto un programma misto di arie celebri da opere - si va da «Che farò senza Euridice», in francese, di Gluck, a «Pria che spunti il ciel» di Cimarosa, dal Matrimonio segreto - lunica opera che, nella storia della musica, meritò di essere interamente bissata da cima a fondo, in una medesima serata, a Vienna. E poi «canzoni» di Manuel Garcia e Risa de Morales, e «Mélodies» di Fauré e Massenet.
Juan Diego Florez. Sala Santa Cecilia dellAuditorium. Domani ore 21. Biglietti da 14.00 a 26.00 euro. Informazioni: 06.80.820.58
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