Da Juncker a Stark, i chiacchieroni che hanno mandato in tilt i mercati

In fondo, bastava solo dare un’occhiata all’orologio. Anche distratta, magari. Giusto per accorgersi che mancavano ancora tre quarti d’ora alla chiusura delle Borse. Quanto il tempo di una partita di calcio. Ecco: Herr Jürgen Stark da Gau-Odernheim, colui che voleva essere arbitro dei destini italici, l’economista col pregiudizio incorporato sul Belpaese «tutto pizza e mandolini» e che per questo rideva in faccia a uno statista-galantuomo come Carlo Azeglio Ciampi, avrebbe potuto (e dovuto) aspettare solo 45 minuti prima di fischiare tre volte, urbi et orbi, il proprio congedo dalla Bce. Lasciando così ai mercati un intero un weekend per metabolizzarne la dipartita.
Invece, non l’ha fatto, con le conseguenze a tutti note. Inutile dire che la nostra Consob sospende dalle contrattazioni le società quotate da cui attende comunicazioni importanti, siano esse un aumento di capitale, un’acquisizione, oppure il lancio di un’Opa. Proprio per non alterare il corretto andamento degli scambi. Non serve scomodare Keynes, Ricardo, o qualche Nobel per l’economia: si tratta di un accorgimento elementare, dettato dal senso dell’opportunità. Dote di cui Stark, evidentemente, difetta.
Il vecchio leader radicale Marco Pannella, la cui fascinazione per l’iperbole è nota, offre un’interpretazione pulp: «Pensate a questo eroe tedesco, Jürgen Stark, che di venerdì sera, un po’ prima della chiusura delle Borse, annuncia qualcosa che matematicamente avrebbe avuto conseguenze pesantissime sui mercati di tutto il mondo. Pensate a quante migliaia di miliardi in tre quarti d’ora, il signor Stark sapeva di poter movimentare». Market abuse? Aggiotaggio? Insider trading? Scegliete voi. L’accusa, naturalmente, è gravissima. E, se provata (ma non lo sarà mai), sarebbe un colpo mortale per la credibilità della Bce. Che, a quel punto, potrebbe far coriandoli del codice etico con cui disciplina perfino se un cadeau può essere accettato. Per non parlare delle ripercussioni sulla Germania, per la verità mai troppo tenera con chi sgarra. Ricordate quando l’allora presidente della Bundesbank, Ernst Welteke, fu costretto a dimettersi in fretta e furia per aver trascorso un fine settimana a Berlino ospite della Dresdner Bank?
Dunque, se non si vuol pensar male tenendo il Codice penale in mano, resta un’altra chiave di lettura. Quella, per intenderci, che ci porta dritti al dilettantesco modo di comunicare ai mercati. Le cronache del più recente passato sono stracolme di esternazioni dal timing più sgangherato del ritmo di un batterista sordo. Angela Merkel, per esempio, riuscì a gelare, nello scorso maggio, le Borse annunciando il divieto sulle vendite allo scoperto. E altrettanto fece Moody’s con l’annuncio del possibile taglio del rating dell’Italia. Ma è la crisi greca il vero paradigma dell’insostenibile leggerezza della comunicazione, una gara dove tutti hanno dato del loro peggio. Peschiamo nel mucchio: ecco Mr. Euro, Jean-Claude Juncker, ventilare prima una ristrutturazione soft del debito di Atene e poi spiegare che l’Fmi potrebbe chiudere il rubinetto degli aiuti alla Grecia. Risultato: ruzzolone dei mercati. E che dire di Christine Lagarde, che a un passo dal vertice del Fondo se ne uscì con la frase «Atene rischia la bancarotta»? Conseguenze: i mercati crollarono. Qualche sprovveduto, d’altra parte, la Grecia ce l’ha anche in casa. Tipo la Commissaria Ue alla pesca Maria Damanakis, che sul suo sito arrivò a invocare un ritorno alla dracma. Altra picchiata degli indici. Poi c’è il capitolo dei report, come quello del Fondo monetario internazionale che dipingeva l’Italia come un Paese a rischio debito sovrano.

Seguì rettifica, ma il danno era ormai fatto.
Insomma, mettiamola giù semplice. Per evitare guai, basterebbe riflettere prima di parlare. E guardare l’orologio. Chissà se adesso, in ricordo della sua (burrascosa) militanza, l’Eurotower ne regalerà uno a Stark.

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