Benny Casadei Lucchi
nostro inviato a Barcellona
È juventino, Flavio Briatore, juventino doc. Ha appena finito di parlare con re Juan Carlos quando si ferma in mezzo al paddock. Vuole dire, raccontare, far capire. Glielo si legge in faccia che non ha voglia di parlare solo di formula uno; vuole andare oltre. Dice: «Grande gara, grande Ferrari, grandissima Renault, abbiamo mandato al pubblico, soprattutto a quello italiano, un messaggio importante: e cioè che non esiste solo il calcio tarocco, che cè uno sport, la formula uno, perfetto, capace di regalare emozioni, soprattutto in grado di dare ottimismo agli sportivi italiani dopo tutto quanto è successo».
Prende fiato. Interrompe un francese invadente che vorrebbe solo parlare di «vive la France, vive la Renault». «Prima gli italiani» lo stoppa Briatore, solitamente così attento ai delicati equilibri che vogliono, lui patron di un team transalpino, sempre disponibile per Parigi e dintorni. Stavolta no. Stavolta prima gli italiani: «Il messaggio che abbiamo dato in questo duello con una grande Ferrari è che nel nostro sport vince chi è più forte perché la formula uno non è taroccata ripete . Gli appassionati, finalmente, per due ore hanno potuto staccare e pensare ad altro: hanno visto due grandi team, grandi e perfetti, duellare fra loro».
Mentre Alonso racconta «della vittoria più bella, quella che non dimenticherò mai, la prima davanti al mio pubblico», il suo pubblico si stropiccia, incredulo, gli occhi per tanta grazia. Fernando ha vinto e dominato in Spagna, Pedrosa ha trionfato in MotoGp la mattina in Cina (gli organizzatori di Montmelò hanno offerto maxischermi e colazione gratis agli spettatori che si presentavano in circuito prima delle nove per assistere anche al motomondiale: sono arrivati in 130mila) e Nadal ha fatto lo stesso sui campi rossi di terra del Foro Italico.
Mentre la Spagna scolpisce nella memoria questa giornata memorabile, Briatore svela il segreto del successo: la tranquillità.
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