Juve, cantiere aperto dove è vietata l’euforia

Sta nascendo una nuova Juventus. Diversa da quella annunciata due mesi fa da uno dei suoi dirigenti, Marotta Giuseppe: «Dopo aver puntato sulla quantità adesso puntiamo alla qualità, prenderemo due top player», lontana da quella che era stata allestita dalla triade Blanc-Blanc-Blanc (presidente, amministratore delegato, direttore generale) con un pauroso rosso di bilancio, finanziario e tecnico, con un mortificante impoverimento politico, senza alcuna conseguenza per il francese ancora presente a Torino. Stanno nascendo un’altra squadra e un’altra società. John Elkann si è accorto, con cinque anni di ritardo, che la Juventus non gioca soltanto a pallone ma è una azienda che coinvolge oltre dieci milioni di persone-tifosi-clienti e ha un’immagine da ricostruire dopo lo tsunami del duemila e sei e le successive scempiaggini politiche e strutturali della società da lui medesimo posseduta. Andrea Agnelli ha preso in mano totalmente la situazione a conferma che, in assenza di un vero «top manager», il presidente deve assumersi la responsabilità di qualunque azione e parola. Dopo le coppie Boniperti-Giuliano e Giraudo-Moggi la Juventus non ha avuto dirigenti all’altezza della propria storia, in questo senso i fallimenti di Montezemolo e di Blanc e gli errori di Marotta e Paratici, sono stati la conferma che con il football non ci si può soltanto divertire o arricchire, anzi indebitare.
La nuova Juventus ha acquistato sei, lo riscrivo in cifra «6», calciatori: Lichsteiner, Ziegler, Pazienza, Pirlo, Vidal, Vucinic e altri due dovrebbe ingaggiare. Questi vanno aggiunti ai quattordici, idem come sopra «14», della scorsa stagione. Non infierisco sulle scelte degli uomini di mercato e sui denari inutilmente spesi, resta emblematico il silenzio e l’oblio nel quale è finito Gigi Delneri, l’unico ad avere pagato il conto di altri, ma il riassunto delle operazioni fa intendere quale sia la competenza del gruppo che si è occupato della squadra e della struttura di corredo.
La nuova Juventus suggerisce ottimismo ma sconsiglia l’euforia. Lo sa bene Antonio Conte che ha frequentato l’altra Juventus, quella vera, di Boniperti prima e di Umberto Agnelli dopo. Lo sa bene e invita tutti alla prudenza, ripetendo, forse in modo eccessivo, che bisogna "lavorare". In verità, allenamenti a parte (non risultano che esistano campi di lavoro), la Juventus ha ancora bisogno di calciatori di peso, non fisico, ma tecnico e di saggezza tattica. Le indicazioni dello scorso campionato hanno confermato la leggerezza della fase difensiva, soprattutto nella zona centrale che è stata, storicamente, uno dei punti solidi juventini (Bonucci e Barzagli non aiutano Chiellini, semmai gli complicano la vita e inguaiano Buffon o Storari, tralasciando Motta, Grosso, Grygera, Sorensen e Traorè! roba paesana e senza logica). I varchi creati da Melo, Aquilani, Sissoko, Martinez, dovrebbero essere riempiti da Vidal, Pirlo, Pazienza nessuno dei quali ha naturali caratteristiche di interditore. Ecco perché Conte chiede altri uomini, ecco perché, dopo venti acquisti, qualcuno dovrebbe avere capito l’esatta cilindrata di Marotta e di Paratici.

Comunque la Juventus se non è totalmente nuova è almeno rinnovata, in sede con il piglio finalmente autorevole e autoritario di Agnelli e del cugino Elkann, in campo con l’arrivo di Conte che un solo difetto: il carattere salentino, a volte spigoloso, diffidente ma, in fondo, passionale. L’unica novità certa e sicura riguarda lo stadio che verrà inaugurato l’8 settembre contro il Notts County. Il resto è promessa, premessa, sogno. Per fortuna non più «projetto».

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