La Juve studia la vendetta Il calcio italiano in trincea

Tam, tam, il tormentone sale. Nemmeno fosse il Bolero di Ravel. Stella sì? Stella no? Poteva salvarci il Milan, ma forse non ce la farà. Roba da mettersi la mano sugli occhi e non guardarla in ogni caso. Sì, la terza stella che la Juve vorrebbe mettersi sulla maglia. Inutile rappresentare le mozioni del buon senso: gli scudetti sarebbero 28. Gli altri due sono stati strappati (dalla maglia) per sentenza. Agnelli e compagnia di ventura non ci sentono. Ci pensano da tempo. Beppe Marotta lo raccontò in una intervista a Franco Ordine nell’ottobre scorso. Disse testuale: «Sì, metteremmo la terza stella. Sul campo abbiamo contato 29 scudetti e, vincendo, saremmo al 30°». Per il comun denominatore calcistico, un’abitudine, una consuetudine instaurata dai tempi di Umberto Agnelli, papà di Andrea, ogni stella vale 10 scudetti. Si parla di consuetudine, non di regolamento, perchè nelle carte del calcio non c’è traccia di stelle e obblighi conseguenti. L’obbligo deriva solo dal cucire sulla maglia lo scudetto o la coccarda della coppa Italia. Null’altro. Umberto Agnelli si inventò la consuetudine nel 1958, quando il Coni premiò lui, giovane presidente, e la Juve con la stella d’oro per il 10° scudetto: pensò fosse bello metterla anche sulla maglia. Così fu e gli altri (Inter nel 1966 e Milan nel 1979) imitarono.
Oggi l’idea della terza stella non è più un omaggio alla conquista, ma solo uno sberleffo ai pasticciacci del pallone, un insulto alle sue regole e alle decisioni seguite a calciopoli. Così la pensan tutti, ad eccezione del mondo Juve. Ormai la storia è nota e un po’ stantia: gli juventini si sentono derubati, defraudati, calpestati nell’onore (ditelo a Moggi e soci) e nei sentimenti. Non hanno gradito l’attribuzione all’Inter di uno scudetto che doveva rimanere senza padrone. E oggi che lo scudetto è a un passo, il tam tam diventa pressante: avranno l’impudenza di farlo o si fermeranno?
Per ora stanno tutti appoggiati spalle al muro, nemmeno ci fosse un ladro in casa. Zitti e orecchie tese. “Don Abbondio“ Abete fa intuire l’irritazione della federazione, ma non può dire niente finchè il fattaccio non sia consumato. Il presidente si è limitato a un laconico: «Nel caso ne discuteremo. Per ora non c’è nulla di concreto. Comunque la federazione sarà sempre attenta sul sistema delle regole».
Era stato più chiaro Albertini, vicepresidente Figc: «Sarebbe una forzatura senza valore. Una provocazione. Per le sentenza sportive la Juve non ha vinto gli scudetti, così come Ben Johnson non ha vinto l’oro alle Olimpiadi».
Tutto, divieto e calar di braghe, passerà dalle mani della Lega che, per regolamento (articolo 10, vedi sotto), deve dare il benestare a disegno e tipo di maglia da utilizzare. A quel punto Beretta potrebbe dire: «Togliete la stella o non approviamo la maglia». Ma la Juve libera di ribattere: «Lo riteniamo un abbellimento stilistico del disegno, niente di più». Oppure, volendo stravincere, la società potrebbe modificare il suo simbolo e aggiungere le tre stelle. Chi potrebbe contestare? Chiaro che pure il Coni non gradirebbe, ma non può intervenire. Tocca alla Lega. E l’Inter masticherebbe amaro, salvo decidere di mettere cinque, sei, sette stelle sulla maglia, facendo saltare il simbolismo delle stelle. Del resto all’Inter si sono già sentiti offesi dal vedere esposto lo scudetto 2006 nello spogliatoio degli ospiti allo Juventus stadium.

Moratti ne è stato disgustato, ritenendolo perfino più offensivo di vedere l’eventuale terza stella.
Che dire? Gufare Juve? Non vale la pena. Sono passati 50 anni da quando il mondo del calcio poteva pensare di codificare il significato delle stelle. Ala fine restiamo sempre alle stalle.

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