Pierluigi Bonora
da Torino
Dà l'impressione di essere a mezz'asta la bandiera bianconera posta sopra il portone d'ingresso del quartier generale di corso Galileo Ferraris. Quasi il segnale del momento drammatico che la società più scudettata d'Italia sta attraversando. Per la Juventus, su cui si allungano ombre e veleni legati allo scandalo delle intercettazioni telefoniche, ieri si è conclusa un'epoca, quella della Triade Moggi-Giraudo-Bettega, ovvero gli artefici dei successi bianconeri iniziati nel '94. Il Consiglio di amministrazione, dopo una riunione durata un paio d'ore, si è dimesso in blocco non prima di aver approvato i dati economico-finanziari al 31 marzo scorso. In una fredda nota affidata a un portavoce, la società fa sapere «che il cda ha rimesso il proprio mandato nelle mani degli azionisti» e «a tal fine ha convocato l'assemblea ordinaria il giorno 29 giugno per la nomina degli amministratori». Fino all'assemblea, viene altresì precisato, «eventuali operazioni straordinarie saranno di competenza esclusiva del consiglio di amministrazione». Significa, in pratica, che già da lunedì la famiglia Agnelli, azionista di maggioranza con la holding Ifil, prenderà in mano la situazione e darà il via alla rifondazione della Juventus il cui nuovo volto sarà completamente svelato proprio il 29 giugno prossimo. La decisione di procedere all'azzeramento del consiglio, secondo alcune fonti, sarebbe stata presa all'unanimità allo scopo di evitare ulteriori scossoni in vista dell'ultima partita di campionato dove alla squadra basterà il pareggio per conquistare lo scudetto numero 29. Ma non è escluso che già all'assemblea del 29 giugno l'amministratore delegato Antonio Giraudo, tra l'altro terzo azionista della Juventus con il 3,62%, e il direttore generale Luciano Moggi non facciano più parte della dirigenza. A presiedere la riunione più delicata nella storia del club bianconero era Franzo Grande Stevens, da sempre uomo di fiducia degli Agnelli, affiancato dal vice Roberto Bettega con Giraudo, Moggi, Carlo Sant'Albano (amministratore delegato e direttore generale dell'Ifil), Jean-Claude Blanc, Stefano Bertola, Giancarlo Cerutti, Luigi Chiappero, Andrea Pininfarina, Fabrizio Prete e Claudio Saracco.
Fuori dalla sede nel centro di Torino, fin dalla mattinata il numero dei giornalisti si è sempre mantenuto abbondantemente più elevato rispetto ai pochi tifosi che hanno preferito trascorrere qualche ora sotto il sole di viale Ferraris in attesa di notizie. Soltanto un abbonato trentenne ha estratto un fazzoletto bianco gigante con la scritta «tanto odio, tanto onore», abbozzando una timida reazione come messaggio all'opinione pubblica. Ma un altro supporter non ha avuto problemi a presentarsi davanti al servizio di sicurezza tenendo in mano un cartello «Giraudo vattene». Il silenzio dei tifosi ha rappresentato, per il momento, la stessa arma usata proprio dai dirigenti juventini che alla spicciolata, dopo la riunione, hanno abbandonato da uscite secondarie la sede del club. L'unica vera reazione all'aria pesante che si respirava a Torino è arrivata da Piazza Affari dove il titolo bianconero è andato a fondo: meno 9,38% a 2,11 euro con scambi che hanno interessato il 6,3% del capitale ordinario. In rialzo, invece, i titoli di casa Agnelli: più 2,08% Ifil e più 3,37% la cassaforte Ifi. A frenare il tonfo in Borsa della Juventus non sono nemmeno bastati i risultati tutto sommato positivi ottenuti dalla società nei primi nove mesi dell'esercizio 2005-2006: utile di 8,3 milioni contro il precedente saldo negativo di 5,7 milioni.
Da oggi, comunque, tifosi e investitori cominceranno a chiedersi chi condurrà la nuova campagna acquisti e quale sarà il destino dei vari progetti, tra cui la trasformazione dello stadio Delle Alpi, tema che Giraudo e Sant'Albano avevano appena iniziato ad affrontare. C'è chi accenna all'esistenza di un governo ombra, già pronto a reggere le sorti bianconere fino al 29 giugno, ma da altre parti si teme un fuggi fuggi di campioni nel caso la situazione dovesse precipitare e si prospettassero pesanti provvedimenti a carico della società. L'uscita di Moggi, poi, comporterebbe una serie di dimissioni a catena di tutto l'entourage legato al direttore generale. Per non parlare dell'incognita Giraudo, titolare di un importante pacchetto di azioni, e da sempre vicino ai familiari di Umberto Agnelli. Per la famiglia torinese la tegola delle intercettazioni è solo l'ultima di una serie iniziata lo scorso autunno con le disavventure di Lapo Elkann e proseguita con l'indagine giudiziaria sul modo con cui l'Ifil ha mantenuto il controllo della Fiat.
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