«Ma Kadima senza di lui è un progetto misterioso»

Nemer Hammad: «Dopo le elezioni palestinesi e israeliane bisogna tornare a trattare. Ci vuole al più presto una conferenza di pace»

Luciano Gulli

nostro inviato a Ramallah

Nei Territori ieri era festa grande. Si celebrava l'Adha, festività che conclude l'Hajj, la stagione del pellegrinaggio alla Mecca. Lunedì i palestinesi hanno fatto incetta di arachidi, pistacchi, cioccolato e dolcetti per i bambini. Poi, al tramonto, i negozi hanno abbassato le saracinesche. Sicchè sulla Salah ed Din, a Gerusalemme est, dove abitualmente si agita una folla convulsa, ieri si vedevano solo gli attacchini che spalmavano a mani nude, con una colla di acqua e farina fatta in casa, i manifesti elettorali, sempre troppo colorati, dei candidati. Anche a Ramallah, sui muri e sui tabelloni elettorali, vedi una grande sfilata di baffi e facce compunte, con la cupola d'oro della Grande Moschea (tema d'obbligo) sullo sfondo. In lizza ci sono i baffi di Khaled Abu Siad, di Al Fatah, quelli del dottor Adnan Arafat, di Ahmed Ghnem e di Ahmad El Boteh, meglio noto come Abu Aiman. I palestinesi potranno votare in cinque uffici postali della capitale o in zone limitrofe, ha infine comunicato il ministro della Difesa israeliano Shaul Mofaz (in ottemperanza alle pressioni venute dall'America). Resta, naturalmente, il divieto per Hamas di fare campagna elettorale. Il che, secondo Nemer Hammad, consigliere politico fresco di nomina del presidente Abu Mazen, è un errore. «Intendiamoci - dice -. La partecipazione di Gerusalemme est alle elezioni del 25 gennaio per noi è vitale. Significa ammettere che è territorio palestinese. Bandire Hamas rappresenta invece un errore politico che danneggia Al Fatah e Abu Mazen. Per Hamas invece è un bel regalo. Chi indossa i panni della vittima non può che trarne vantaggio».
La circostanza potrebbe avvantaggiare Hamas due volte. Perché per mettere in piedi un governo di coalizione Al Fatah dovrà cercare un accordo proprio con quelli che Israele definisce terroristi.
«Ci piaccia o no, Hamas esiste, ed è un movimento che noi dobbiamo far rientrare nell'agone politico. Fare opposizione e criticare è facile. Bisogna che Hamas avverta il senso della responsabilità istituzionale. Il che significa che non possono continuare a rifiutare l'esistenza di Israele».
Sharon è ormai fuori causa. Le redini del comando sono ora nelle mani di Olmert che ha assicurato che il percorso di pace inaugurato da Sharon proseguirà. Una buona notizia, si direbbe.
«Mah, per esprimere giudizi è un po' prematuro. Troppe questioni restano in sospeso. Il Likud, e Olmert ne faceva parte, ha rifiutato gli accordi di Oslo e negato per anni ai palestinesi il diritto all'autodeterminazione. Prendiamo atto che l'uomo chiamato a sostituire Sharon ha approvato il ritiro da Gaza. Ma questo non è sufficiente. Quel che ci chiediamo è: ha in testa una strategia precisa, Olmert?».
Si dice sia la stessa di Sharon.
«Ma qual era quella di Sharon per quanto riguarda la nascita dello Stato palestinese? Alcune delle sue proposte, come l'annessione da parte di Israele di grandi insediamenti nei Territori è per noi inaccettabile. Lo stesso vale per il muro che separa la Cisgiordania dal resto della Palestina. E in piedi resta sempre l'opzione su Gerusalemme. C'è troppa vaghezza sulle frontiere provvisorie. E la scomparsa politica di Sharon è arrivata prima che il suo nuovo partito, Kadima, potesse definire un programma».
Ad ogni buon conto gli uomini di Kadima sembrano fortemente orientati a stimolare il negoziato con l'Anp.
«A parole tutti dicono di volere la pace. Ma bisogna vedere su quali basi. Aspettiamo e vediamo. Kadima vincerà probabilmente le elezioni. Ma per governare, i suoi leader dovranno cercarsi dei compagni di strada. Ora io mi domando: guarderanno verso quel che resta del Likud, o faranno la corte ai laburisti?».
Shimon Peres potrebbe farsi garante della svolta moderata, non crede?
«Peres è una personaggio volubile. Ha riconosciuto in Abu Mazen un partner, ma è anche entrato in un partito appena nato. Vedremo nelle prossime settimane che cosa potrà fare. Intanto aspettiamo un forte segnale dalla comunità internazionale. Dopo le nostre imminenti elezioni e quelle che si terranno in Israele, quanti hanno a cuore la stabilità del Medio Oriente dovranno convocare la Conferenza internazionale di pace che deve essere sede di concessioni, compromessi ed accordi».
Dopo il ricovero di Sharon il mondo ha assistito al solito spettacolo indecoroso da parte palestinese. Canti e balli nelle strade, fucilate di giubilo al cielo. Non si direbbe il modo migliore per incoraggiare l'avversario a sedersi al tavolo delle trattative...
«Il popolo non dimentica i massacri perpetrati da Ariel Sharon.

Ma vorrei sottolineare che la dirigenza palestinese non ha espresso soddisfazione. E anche qui, la differenza con le dichiarazioni di certi dirigenti israeliani in occasione della morte di Yasser Arafat è stata notevole, non le pare?».

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