Kamikaze stragisti: più di 120 morti in Irak

Andrea Nativi

I terroristi suicidi tornato a mietere vittime in Irak. Una raffica di attentati si è sviluppata ieri a Ramadi, Karbala, Bagdad e Najaf. Il bilancio complessivo è pesantissimo, almeno 127 morti e 150 feriti. Sono caduti anche sette soldati statunitensi. La guerriglia sta intensificando la sua azione, punta a far deragliare i difficili colloqui politici in corso per la formazione del nuovo governo, in attesa dei risultati elettorali definitivi.
Il presidente iracheno, il curdo Jalal Talabani, ha condannato l'ondata di violenza, affermando che il tentativo di destabilizzare il processo in corso e dividere i vari gruppi etnici e religiosi è destinato a fallire. E la guerriglia sta giocando il tutto per tutto, proprio perché si rende conto che la partita in corso è decisiva.
Un primo kamikaze è entrato in azione alle 10 del mattino a Kerbala, facendosi saltare in mezzo alla folla di fedeli e ai banchetti dei commercianti tra due dei luoghi più sacri della città santa: il mausoleo dell'imam Hussein e quello dell'Imam Abbas. È stata una carneficina, almeno 60 corpi straziati sono rimasti sul terreno costellato di pozze di sangue mentre 80 feriti sono stati trasportati verso gli ospedali.
Un'ora più tardi un secondo terrorista si è fatto saltare a Ramadi, una delle città dove più attiva è la guerriglia, nel triangolo sunnita. Il bersaglio era rappresentato dalla massa di aspiranti reclute, oltre un migliaio, in fila davanti a un centro della polizia per sostenere le visite preliminari di ammissione alla polizia e all'esercito. I morti sono stati 67, ai quali si aggiungono un centinaio di feriti, alcuni gravissimi.
Ma quanto è accaduto a Ramadi conferma come siano inutili, se non controproducenti, questi attentati per la causa della guerriglia: nel pomeriggio, con ancora evidenti i segni dell'attentato, le selezioni sono riprese e i giovani iracheni si sono rimessi ripresentati per arruolarsi. Per i capi della guerriglia è un segnale di fallimento: a dispetto delle stragi, gli iracheni non disertano, non considerano screditato il governo e le sue istituzioni, pur sapendo che un «lavoro» nelle forze di sicurezza presenta rischi mortali.
A Bakuba, sempre nel triangolo sunnita, dove un gruppo di fuoco ha aperto il fuoco con armi leggere contro una unità della polizia in pattugliamento: quattro morti e quattro feriti.
A Bagdad invece ci sono stati tre attacchi, due suicidi, con altrettante autobomba, ma vi è stato un solo un ferito. Sempre nella capitale cinque i soldati statunitensi sono stati uccisi da un potente mina artigianale fatta esplodere al passaggio di un mezzo dell'esercito. Altri due militari americani sono invece stati vittima di un attacco nei pressi di Najaf.
In ogni caso non si deve giudicare l'efficacia della recrudescenza di attacchi della guerriglia, dopo la «pausa» post-elettorale, sulla base del numero di vittime. Gli addetti ai lavori più che altro valutano la tipologia e complessità dell'attacco, la scelta del bersaglio, più o meno difficile, la pianificazione e coordinazione delle operazioni.
Ormai a combattere e soffrire sono prevalentemente gli iracheni: i dati del 2005 parlano di 4.000 civili e 1.

700 membri delle forze di sicurezza uccisi, con rispettivamente 6.000 e e 2.300 feriti. I guerriglieri uccisi sarebbero invece non meno di 1.700, mentre non ci sono stime sul numero di feriti. La guerra in Irak è sempre più un affare interno.

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