Kanye West, il rap si fa musica d’autore

All’inizio lo consideravano un «damerino», ora il suo cocktail sonoro conquista gli Usa

Antonio Lodetti

Il rap può essere geniale anche se non arriva dai bassifondi, anche se non è accompagnato dal consueto corredo di violenza (quella dei testi delle canzoni e delle gang che hanno insanguinato la storia di questa musica con le morti di star come Tupac Shakur e Notorious B.I.G.). Lo testimonia lo strepitoso successo di Kanye West, re della nuova America nera che ha conquistato la vetta delle classifiche, la copertina di Time (che lo ha eletto tra i 100 personaggi più importanti del mondo) e domani arriva all’Alcatraz - unica data italiana del suo tour - per raccogliere il tributo dei fan milanesi.
«Non c’è bisogno di avere una vita avventurosa e sballata per scrivere canzoni che arrivino al cuore della gente - dice West -, basta descrivere le cose di tutti i giorni, che spesso superano le fantasie più strane».
Non è buono o buonista, e nemmeno un mollaccione rispetto ai suoi colleghi «cattivi»; All Falls Down è un brano duro contro il consumismo dei neri, e la sua dichiarazione programmatica non ammette repliche. «Sto cercando di spaccare la radio, non voglio passare per radio».
Kanye West ha semplicemente una diversa visione del mondo. Fatta di suoni duri e raffinati, ma soprattutto di fascinosi cocktail sonori che incrociano i ritmi hip hop ma privilegiano il calore del soul, inglobando qui e lì le inimitabili melodie di Rodgers & Hart, la carica sensuale di Ray Charles, l’eleganza di Shirley Bassey (la sua ingegnosa Diamonds, è l’elaborazione di Diamonds Are Forever, colonna sonora del film 007 una cascata di diamanti).
Il rap si fa musica d’autore senza perdere la sua carica ossessiva e Kanye West è l’architetto-orchestratore di questa nuova tendenza. «La mia musica non è semplicemente musica ma è anche una medicina. Quando mi metto a scrivere canzoni è come se cercassi la cura per una malattia».
I suoi brani, piacciano o meno, non lasciano indifferenti. Lui sa come si costruisce un disco; prima che rapper coccolato e venerato dalla critica e dal music business è stato (e continua ad essere) un superproduttore. Ha campionato e rimescolato i Jackson Five insieme ai Temptation e li ha conditi persino con i Doors per poi far rinascere il tutto nei brani million seller di Jay-Z, di Alicia Keys, di Cam’ron, di Talib Keli e di moltissimi altri. Anima ed elettronica, il profumo vintage del rhythm and blues unito ai nuovi suoni urbani.
Così sono nati i suoi dischi in prima persona che hanno fatto sensazione. The College Dropout del 2004 che ha venduto in prima battuta quasi quattro milioni di album e si è messo in tasca tre Grammy (miglior album rap, Jesus Walks, tratta dal cd, miglior brano soul e r’n’b dell’anno) e il successivo e ancor più vario Late Registration, che ha ottenuto più o meno gli stessi clamorosi risultati.
Non male per un artista che ha cominciato a cantare dopo un terribile incidente di macchina che gli ha fracassato la mascella.

Uscito dall’ospedale, con la mascella ancora sostenuta da un cavo d’acciaio, incide Through the Wire, cronaca della sua disavventura. In pochi gli credono (è troppo damerino, troppo viziato, dicono) eppure la sua canzone diventa in pochi giorni una hit.

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