Katsav sospeso, una donna presidente d’Israele

La leader della Knesset Itzik sarà capo dello Stato pro tempore. Al via il toto-successione: il più accreditato è l’anziano Shimon Peres

Da ieri sera Israele ha per la prima volta, sia pure a titolo provvisorio, un capo dello Stato donna. Dalia Itzik, del partito centrista al governo Kadima, presidente del Parlamento di Gerusalemme, è subentrata all’autosospeso Moshe Katsav, travolto dalla tempesta di uno scandalo sessuale che ha messo a rumore (ma soprattutto fatto vergognare) il Paese. La sospensione di tre mesi dalle sue funzioni del presidente della Repubblica, richiesta dallo stesso Katsav per prendere tempo di fronte a quanti ne vorrebbero la cacciata, è stata votata al termine di una lunga e tormentata seduta dalla Commissione per le questioni parlamentari della Knesset, il Parlamento israeliano, con una maggioranza risicata: 13 voti contro 11.
Tanto dovrebbe comunque bastare per considerare giunta al capolinea la carriera politica di Katsav, che pure continua a gridare al complotto dibattendosi, per così dire, sull’orlo di un precipizio. Dal momento del giuramento prestato dalla Itzik, infatti, il procuratore generale ha facoltà di convocare il presidente autosospeso e decidere un’eventuale incriminazione. Sull’onda di sondaggi inequivocabili, quelli diffusi prima del discorso di Katsav in televisione secondo i quali una percentuale variabile tra il 66 e il 71 per cento degli israeliani chiede le dimissioni del capo dello Stato accusato di molestie sessuali e stupro, proseguono inoltre le iniziative politiche per giungere in tempi relativamente rapidi alla destituzione. Mercoledì il partito di sinistra Meretz aveva annunciato di aver raccolto le firme di 30 parlamentari (ma per l’impeachment ne occorrono 90), ieri lo stesso Kadima era impegnato nell’obiettivo di destituire l’imbarazzante Katsav entro due mesi.
Senonché, ciò che fino a mercoledì sera sembrava chiarissimo ora non lo è più. Il quadro si è modificato. L’appassionata arringa difensiva del presidente in Tv ha fatto scendere la percentuale di coloro che vorrebbero le sue immediate dimissioni al di sotto del 50 per cento. Va aggiunto che Katsav ha abilmente toccato le corde dei ceti più svantaggiati (dai quali non manca di ripetere che proviene), evocando lo spettro di una persecuzione ai suoi danni ordita da «quelli che sono nati con il cucchiaino d’argento in bocca»: proprio ieri sono usciti dati forniti dalle Assicurazioni nazionali israeliane, secondo cui un quarto dei cittadini vive sotto la soglia di povertà.
Se una parte dell’opinione pubblica israeliana sembra ancora disposta ad accordare un residuo di fiducia al presidente presunto violentatore, lo stesso non si può dire per il mondo politico, ormai alacremente all’opera per toglierlo di mezzo. Non a caso i sondaggi di opinione si occupano già di riscontrare la popolarità dei diversi possibili successori di Katsav. Il più gradito (con il 46 per cento di indicazioni) è l’ottuagenario Shimon Peres, che nel 2000 era stato battuto a sorpresa proprio da Katsav; seguono ben distanziati l’ex rabbino capo Meir Israel Lau (18%) e l’ex presidente della Knesset Reuven Rivlin (11%).

La presidente pro tempore Dalia Itzik si è già chiamata fuori, chiarendo che intende continuare a presiedere il Parlamento. In Israele, comunque, il presidente non viene eletto dal popolo, ma dai 120 deputati della Knesset.

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