Kebab La guida e le tradizioni

Gentile direttore, in riferimento all’articolo «Tursi cucina Genova: il piatto tipico è il kebab», pubblicato da il Giornale il 9 dicembre scorso e firmato da Federico Casabella, desidero fare alcune precisazioni.
L’opuscolo «Genova City Break» è stato pensato come strumento di promozione specificamente indirizzato al popolo dei City Breaker, uno dei principali segmenti turistici della città costituito da un pubblico giovane, curioso, cosmopolita, abituato a viaggiare per scoprire realtà differenti e appagare il desiderio di conoscenza e svago.
Come l’articolo ha rilevato, la brochure descrive con taglio leggero ma puntuale la città e il suo territorio, suggerendo come andare alla scoperta di Genova attraverso percorsi classici e più originali, da affrontare in un giorno, in un week end o con più tempo a disposizione. La brochure è arricchita da una serie di suggerimenti sulle cose da fare, da vedere, da mangiare e alcune pagine sono dedicate alla Genova Night&Day; qui si parla di una città ricca di eventi, locali e offerte culturali, con l’obiettivo di comunicare che Genova davvero è capace di soddisfare i gusti più diversi, da quelli più tradizionali a quelli alternativi.
Proprio in questa sezione si dice, e noi ci crediamo, che Genova è una città multietnica dove convivono razze e culture, prova ne è l’esistenza di diversi esercizi legati alla cucina di altri paesi (da kebab al sushi, dalla cucina indonesiana a quella indiana o brasiliana) e di negozi come le macellerie islamiche. Tutto ciò è presente nella brochure, nello spazio di un trafiletto, perché anche questa è Genova; una città da sempre aperta alle differenze e alle contaminazioni. Ma, contrariamente a quanto sembra di capire dall’articolo, c’è anche molto altro.
Nella pagina a fronte, ad esempio, si trova un intero paragrafo dedicato all’antica tradizione gastronomica della città con le sue caratteristiche e si citano come «regni della forchetta», tra gli altri, il Centro Storico, la Foce, le riviere. Nelle pagine precedenti, poi, ci sono numerosi focus dal titolo «da mangiare», dedicati specificamente e singolarmente ai piatti della tradizione genovese: la focaccia, il pesto e le trenette, la farinata e le sciamadde, la sacripantina e il pandolce, la panera, il cappon magro, la focaccia di Recco, solo per citarne alcuni, con tanto di riferimenti alle botteghe antiche e storiche e, naturalmente, con l’invito a provarli immergendosi nell’atmosfera genovese.
Non si comprende dunque il riferimento dell’articolo ad un presunto maggiore spazio dato al piatto arabo a discapito delle tipicità genovesi, che sono invece ampiamente descritte e promosse non soltanto come cibo buono e gustoso, ma anche come espressione del territorio, della sua storia, della cultura e della laboriosità e tenacia dei suoi abitanti.
Restiamo a disposizione per eventuali future segnalazioni, nell’ottica di uno sforzo comune e nell’interesse della nostra città. Interesse che crediamo di poter condividere con Voi.
Cordialmente.



presidente del Stl del Genovesato
Mauro Bolognesi
vice presidente del Stl del Genovesato

Nessuno nell’articolo ha messo in dubbio i contenuti della guida ma solo evidenziato che si definisce il centro storico di Genova «il regno del kebab» e i genovesi come amanti delle macellerie islamiche (circostanza tutta da dimostrare). Alla faccia di chi le tradizioni della nostra terra continua a cercare di difenderle per davvero.
FCas

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