Con lIran, ormai, ogni giorno ha la sua pena. Domenica lannuncio del presidente Ahmadinejad della decisione di produrre in patria uranio arricchito al 20 per cento (inopinato, ma che non può aver davvero sorpreso gli osservatori più attenti); ieri il discorso-sfida della guida suprema Ali Khamenei, che a pochi giorni dallanniversario della fondazione della Repubblica islamica ha usato parole aggressive e volgari per provocare lOccidente. «Il 22 di Bahman (lequivalente dell11 febbraio nel calendario persiano, ndr) la nazione iraniana, unita e con la grazia di Dio - ha detto Khamenei rivolgendosi allaviazione militare - sferrerà un tale pugno in faccia allarroganza dellOccidente da lasciarlo stordito».
Linsistenza di Khamenei sulla presunta unità della nazione iraniana si spiega con la nota intenzione dellopposizione al regime di scendere in strada a manifestare proprio l11 febbraio. Khamenei ha ripetuto le accuse alle potenze occidentali di aver orchestrato le proteste di piazza che si sono susseguite, in un crescendo di partecipazione popolare, nelle principali città dellIran dopo la truffaldina rielezione a presidente di Mahmud Ahmadinejad nel giugno scorso. Lintento, ha sostenuto Khamenei, era quello di rovesciare la Repubblica islamica, ma il disegno è destinato a fallire. «Il più importante obiettivo delle sedizioni post-elettorali era di creare una spaccatura nella nazione - ha detto ai militari il successore dellayatollah Khomeini - ma non ci sono riusciti e lunità del nostro popolo resta una spina conficcata nei loro occhi».
Unaffermazione così palesemente falsa da spingere Stati Uniti e Unione Europea a una nota congiunta nella quale si esprime «preoccupazione» per la stretta sui diritti umani che è logico attendersi nei prossimi giorni, visto che il movimento verde non ha alcuna intenzione di farsi intimidire. Il suo leader Mir Hossein Moussavi ha negato legami con potenze straniere e ha invitato a manifestare giovedì in modo pacifico. E lex presidente Mohammad Khatami ha detto che «tutto il popolo, come primo titolare della rivoluzione, prenderà parte alle marce, difendendo al tempo stesso la rivoluzione e i diritti umani».
«Siamo particolarmente preoccupati - si legge nella nota di Washington e Bruxelles - per la possibilità di ulteriori violenze e repressioni nei prossimi giorni ed esortiamo il governo dellIran a rispettare i suoi obblighi internazionali sui diritti umani e a porre fine ai suoi abusi contro la sua stessa popolazione». Timori assai fondati, visto che sono oltre cinquanta gli oppositori che rischiano la forca, che negli ultimi due giorni sono finiti in prigione dieci giornalisti (che si aggiungono ai 45 già detenuti) e che una figura di primo piano come lex viceministro degli Esteri Mohsen Aminzadeh è stato condannato a sei anni di carcere per aver partecipato alle dimostrazioni dellopposizione.
Non cessano, intanto, le provocazioni del regime di Teheran contro Israele. Il ministro degli Esteri Mottaki ha detto ieri alla televisione panaraba Al Jazeera che lo Stato ebraico è più debole che mai e che è «un Paese folle governato da pazzi». Dobbiamo quindi, ha proseguito, «prepararci alleventualità che Israele faccia qualcosa di folle contro chiunque nella regione: siriani, libanesi, palestinesi». In quel caso «ci schiereremmo coi nostri fratelli arabi». E se lIran venisse attaccato da Israele? «Siamo in grado di difenderci», ha risposto Mottaki.
La domanda era pertinente, dopo che ieri Avi Pazner, portavoce del governo israeliano, ha detto che «lIran sta giocando un gioco molto pericoloso, sta giocando col fuoco. Ed è evidente che il tempo delle parole è finito. Per fermare il programma nucleare iraniano si deve arrivare a sanzioni economiche, ma devono essere molto dure». Al riguardo Israele, ha detto Pazner, ripone le sue speranze nella Francia, che in questo mese presiede la Commissione sicurezza dellOnu».
A proposito della prospettiva di sanzioni allIran da parte dei Quindici, su cui Usa e Francia sono al lavoro, il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini ha detto che lItalia è pronta a condividerle («siamo stanchi di politiche dilatorie, serve una pressione aggiuntiva e il Consiglio di Sicurezza è il luogo dove eventuali sanzioni vanno decise»), mentre considera lipotesi di unazione militare contro Teheran «un disastro assoluto».
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