Il Kosovo, la polveriera che ora rischia di saltare

Una bomba a orologeria ticchetta sempre più velocemente nei Balcani e nessuno sa come disinnescarla: si tratta del Kosovo, dove la maggioranza albanese, dopo quasi dieci anni di amministrazione Onu, scalpita per ottenere la piena indipendenza, ma la comunità internazionale non sa come concedergliela senza rischiare un nuovo durissimo scontro con la Russia. Bush e Putin cercheranno una soluzione durante il loro incontro in Maine, ma le speranze sono poche.
Negli ultimi anni, sia gli Usa sia l’Unione Europea hanno spinto più o meno apertamente i kosovari verso il pieno distacco dalla Serbia e contavano di ottenere la luce verde del Consiglio di Sicurezza già quest’estate. Nessuno, tuttavia, aveva fatto i conti con la Serbia stessa, con la sua protettrice Russia e neppure con il diritto internazionale. Belgrado e Mosca hanno avuto buon gioco a sostenere che gli accordi che hanno posto fine alla guerra del 1998, conclusi con Milosevic, ma mai denunciati dopo l’arrivo della democrazia, prevedevano esplicitamente che il Kosovo restasse parte - sia pure con uno statuto di larga autonomia - dell’allora Repubblica federativa jugoslava (poi sciolta per il distacco del Montenegro). Per modificare questi accordi occorre pertanto il consenso di tutte le parti, e la Serbia, che considera il Kosovo culla della propria storia, non ha intenzione di fare passi indietro. Ancora due giorni fa, il presidente Kostunica ha affermato che «una dichiarazione di indipendenza unilaterale del Kosovo precipiterebbe l’intera regione nel caos». Putin lo spalleggia e non ha fatto mistero sul fatto che, se Usa e Ue presentassero al Consiglio una bozza di risoluzione in questo senso, la Russia eserciterebbe il suo diritto di veto.
L’Unione Europea, conscia delle conseguenze di uno scontro diretto con Mosca, ma sottoposta quotidianamente alle pressioni dei kosovari albanesi che minacciano addirittura un ritorno alla guerriglia, sta cercando un modo di uscire dall’angolo. Una proposta di rinvio avanzata dalla Francia non è stata accolta bene dagli altri partner. Un riconoscimento «unilaterale» del nuovo Stato da parte dei 27 sarebbe non solo in contraddizione con la tradizionale politica di rispetto delle decisioni dell’Onu, ma avrebbe anche conseguenze molto negative: escluderebbe il nuovo Stato da tutti gli organismi internazionali e farebbe addirittura scadere il mandato in base al quale oggi un contingente della NATO, con la partecipazione di quasi 3.000 soldati italiani, presidia la provincia e mantiene la fragile tregua tra i due milioni di albanesi e i 150.000 serbi. Inoltre, un distacco dalla Serbia non piace ad alcuni membri dell’Unione che hanno problemi analoghi: la Spagna per via della questione basca, Cipro per paura di un simile colpo di mano turco nel Nord e perfino la Romania, che ha una minoranza ungherese ansiosa di ricongiungersi alla madrepatria.
Siamo, in altre parole, di fronte a una specie di quadratura del cerchio. La Ue sperava di ammorbidire i serbi con la promessa di un trattato di associazione, ma Belgrado, sentendosi sostenuta da Mosca, ha fatto finora orecchie da mercante.

Gli albanesi possono essere tenuti a bada ancora per un po’, ma il provvisorio non può diventare eterno. La speranza è che tutti mantengano la calma, fino a quando non si troverà una moneta di scambio che sia Belgrado sia Mosca siano disposte ad accettare.

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