nostro inviato a Montreal
È un Hamilton senza McLaren, Robert Kubica. Un fuoriclasse. Dalla sua, in più, ha linnata disponibilità. «Ehi, ciao, buon lavoro» ti dice sempre prima del via, «perché lavoro io ma lavori tu» è il suo credo. Così anche ieri, un attimo prima di salire in macchina, un attimo prima di vedere la morte in faccia, un attimo prima di sperare con tutta la forza che avere sul casco una dedica al Papa lo aiutasse ad uscire dal tunnel imboccato a 300 allora.
Perché è stato come vedere Senna a Imola: la macchina impazzita che scappava via, che andava a sbattere e scoppiare in mille pezzi. Solo che la Bmw di Kubica, si è pure capottata, strisciando e fermandosi come una bestia ferita a bordo pista. Poi quellattimo di silenzio e il suo casco color pastello che sbatteva a terra. E lui immobile, mentre le macchine giravano, e sul paddock i pensieri diventavano un ping-pong tra il dramma di oggi e quello di Senna. «È stato un inferno continuare a correre e passare accanto ai resti della macchina con Robert là dentro e non sapere niente. Quando ho visto lambulanza ho temuto il peggio, ho temuto che...». Jarno Trulli sinterrompe per il pudore di non pronunciare mai quella parola.
Prima la telefonata di Daniele Morelli, il manager di Kubica, quindi luomo Bmw che di persona è corso ad annunciare con il sorriso grande e dieci anni di meno addosso che «Robert, incredibilmente, sta bene: è cosciente, ci ha parlato, ha solo una forte contusione al piede, perché labitacolo si è aperto, adesso lo portiamo in elicottero allospedale del Sacro Cuore». Senna può restare un tragico ricordo, il paddock può tornare a colorarsi, mentre il pensiero va a quelle parole di Robert, laltro giorno, quando allennesima domanda sul suo rapporto con papa Wojtyla aveva detto: «Io sono credente, il Papa per noi tutti polacchi rappresenta e rappresenterà sempre il nostro simbolo.
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