«L’accusa è prescritta» Ma i giudici corrono per condannare il Cav

MilanoLa corsa contro il tempo per arrivare alla sentenza contro Silvio Berlusconi nel processo per la presunta corruzione dell’avvocato David Mills non si ferma davanti all’ultimo tentativo delle difese per arrestare la marcia a tappe forzate del tribunale milanese. Ieri i difensori del Cavaliere hanno chiesto ai giudici di prendere atto che ormai l’accusa è prescritta: sulla base di nuovi documenti e del parere «pro veritate» di due cattedratici, Niccolò Ghedini e Piero Longo chiedono alla corte presieduta da Francesca Vitale di prendere atto che il reato ormai è estinto, e di chiudere seduta stante il processo, come il codice prevede nei casi in cui è evidente che la prescrizione è ormai trascorsa. Ma il tribunale non ci sta: il processo va avanti. Domani verrà data la parola al pm Fabio De Pasquale per la requisitoria: ed è facile prevedere che il pm chiederà la condanna dell’ex presidente del Consiglio, candidandolo ad una pena che potrebbe aggirarsi intorno ai cinque anni di carcere, forse anche di più. La settimana prossima, la parola alle difese.
Che si possa poi davvero arrivare alla sentenza, e che possa esservi una sentenza di condanna, è tutto da vedere. Sul processo pesano diverse incognite. Tra queste, la ricusazione dei giudici chiesta da Berlusconi, che accusa il tribunale di avere già deciso di condannarlo e di non avere fatto nulla per nascondere questo convincimento; c’è anche la possibilità tutt’altro che remota che sia De Pasquale a invocare un intervento della Corte Costituzionale per dichiarare illegittima la riduzione dei tempi della prescrizione (introdotta nel 2005 dalla cosiddetta legge Cirielli) di cui il Cavaliere potrebbe beneficiare. Ma il vero ostacolo alla prospettiva di una sentenza di condanna è il lungo tempo trascorso dalla data del presunto reato (avvenuto, a seconda delle interpretazioni, tra il 1999 e il 2000) e che secondo i legali di Berlusconi rende inevitabile almeno un proscioglimento per prescrizione.
Nel frattempo, però, il processo va avanti, e la decisione dei giudici spiana la strada alla requisitoria di De Pasquale che - comunque vada a finire la faccenda - avrà un impatto politico e mediatico difficile da rimuovere. Per scongiurare questa prospettiva, ieri Ghedini e Longo hanno sfoderato la richiesta ai giudici di dichiarare immediatamente prescritto il reato. La richiesta era basata su una analisi meticolosa dell’andamento del processo, e delle diverse pause in cui è incorso. Per sei volte il dibattimento è stato interrotto: a volte per rispetto degli impegni istituzionali dell’imputato, a volte per dare modo alla Corte Costituzionale di vagliare le leggi varate nel frattempo dal Parlamento e che mettevano l’imputato al riparo dal giudizio. Il conteggio totale proposto da Piero Longo fa oscillare la prescrizione del reato tra l’8 gennaio scorso e ieri. In ogni caso, ha sostenuto il difensore, andare avanti non ha più senso. Sensibilmente diversi i calcoli proposti al tribunale dal pm De Pasquale («la prescrizione fino ad oggi non c’è stata, e non ci sarà né domani né la settimana prossima») e dalla parte civile, ovvero dall’avvocato della presidenza del Consiglio («mancano ancora un paio di mesi»).


Il tribunale non ha sposato né una tesi né l’altra: nell’ordinanza letta ieri pomeriggio, i giudici hanno fatto sapere che valuteranno la prescrizione solo quando si ritireranno in camera di consiglio per valutare se l’imputato sia colpevole o innocente; e, nel primo caso, se i dodici anni trascorsi dal reato rendano ancora possibile condannarlo.

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