L’Achille di Omero non ama i partiti E non è invulnerabile

Caro Granzotto, non le pare di esagerare considerando il piè veloce Achille un eroe di destra? Tutto il suo coraggio deriva solo dalla sua invulnerabilità e più che amante della guerra, nel senso generoso ed eroico del termine, mi è sempre apparso come un rissoso e collerico brigante, attento solo al personale tornaconto come del resto tutti i greci sotto le mura di Troia... Timeo danaos et dona ferentes. Lo vedrei meglio come un eroe partigiano che usa una apparente nobile causa (salvare l’onore del povero Menelao) per altri - absit iniuria verbis - fini. Vuol mettere la passione e l’amore per la sua Patria del prode Ettore? La difende sempre e comunque e combatte anche se non condivide le scelte del pavido fratello e affronta l’invulnerabile Achille anche se è conscio di andare incontro al suo destino, come un ragazzo di Salò, con la trepidazione di chi lascia i suoi affetti più cari ma non per questo si tira indietro. Ettore è sicuramente di destra e avrà onor di pianto finché il sole risplenderà sulle sciagure umane.
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Veramente, caro Corda, non sono io il responsabile dell’etichettatura politica dei due eroi omerici. Come raccontavo, la sentenza fu emessa a Roma nel corso di «ampio e appassionato dibattito», come s’usa dire, al quale presero parte giornalisti, artisti e scrittori - intellettuali, insomma - di chiara fama. Faccia conto dei venerati maestri parte dei quali, però, nell’occasione, mostrarono di essere ancora nella fase intermedia tra «brillanti promesse» e, appunto, «venerati maestri». Se lei consce il Canone Berselli (Edmondo Berselli, il saggista e giornalista da poco scomparso) sa a cosa mi riferisco quando alludo alla fase intermedia. Dato a Cesare quel che è di Cesare, veniamo a bomba: il Pelide era sì invulnerabile al 98 per cento. Ma non lo sapeva e ne erano ignari anche i partecipanti alla guerra di Troia. D’altronde nessun verso dell’Iliade accenna all’invulnerabilità di Achille il quale, anzi, viene ferito (al gomito) nel corso della battaglia dello Scamandro dal giovane e coraggioso Astropeo. La storia del tallone e della morte per mano di Paride, che l’azzecca con una freccia avvelenata proprio nella parte vulnerabile, è successiva all’Iliade che come lei ben sa si chiude con la restituzione a Priamo del maciullato cadavere di Ettore. Ed è un peccato, perché il lettore si perde anche le prodezze da sciupafemmine del podas okus, del pie’ veloce, vuoi con Pentesilea vuoi con Polissena. Pazienza.
In quanto a Ettore, scusi, sa, ma non è che era tutto questo gran combattente. A parte quello con Protesilao, che si presentava sulla spiaggia solo soletto al momento dello sbarco degli achei, e quello con Patroclo, assai malconcio per le ferite inferte da Euforbo, in tutti gli altri duelli il prode Ettòrre se la squaglia: «Cane troian, - gli urla dietro un Tidide qualsiasi - di nuovo tu la scappi/ dalla Parca che già t’avea raggiunto. Ma se verrai per anco al paragone,/ ti spaccerò, s’io pure ho qualche Dio». E se la dà a gambe, ovviamente, quando si trova a tu per tu con Achille. Poi, visto che i troiani, Priamo e Andromaca in testa, lo stavano a guardare dagli spalti e resosi conto della figura che faceva, s’arresta: «Più non fuggo, o Pelìde. Intorno all’alte ilìache mura mi aggirai tre volte,/ né aspettarti sostenni. Ora son io che intrepido t’affronto, e darò morte,/ o l’avrò». L'avrà.

Tutto questo per dire, caro Corda, che è sterile trastullo il voler appiccicare al protagonista e al coprotagonista del poema omerico un’etichetta politica. Achille era Achille, Ettore era Ettore (a proposito, dimenticavo: e Fini è Fini)

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