Nel suo ultimo viaggio ha voluto portare con sé un pacchetto di sigarette. Ma il suo testamento ai giovani è una frase che suona come un monito: «Ragazzi, non fumate mai la prima sigaretta». E proprio loro, i giovani, hanno riempito la chiesa di San Marco per porgere lestremo saluto a Gianfranco Funari scomparso sabato scorso allospedale San Raffaele dopo una lunga malattia. Insieme a loro tante persone comuni e pochi vip. Come si conviene a un personaggio libero, vero, schietto e per questo a volte «scomodo» per alcuni colleghi.
Ad accompagnare la bara ricoperta da un grande cuscino di girasoli lungo la navata della chiesa un applauso e, in sottofondo, la voce di Gianfranco che recita i versi di una canzone di Bob Dylan. La cerimonia comincia con la lettura della «Parabola dei talenti», molto amata da Funari, «consapevole di aver ricevuto dei doni, ma preoccupato di non riuscire a farli fruttare», spiega monsignor Luigi Testore durante lomelia. Nella quale ricorda il rapporto fra il conduttore e Gesù Cristo e il commovente incontro con papa Giovanni Paolo II: «Gianfranco ha sempre detto di sentirsi vicino allinsegnamento di Gesù. Per lui lamore verso il prossimo significava continua ricerca della verità».
Poi è la volta di Charles Vella, prete che collabora con il San Raffaele: «Gianfranco non sapeva solo parlare, ma anche ascoltare. I medici e infermieri che lo hanno seguito in questi mesi ricorderanno per sempre la sua grande bontà». La moglie, Morena Zapparoli, affida il suo addio a una lettera, che legge con la voce rotta dal pianto, e al testo di «La cura» di Franco Battiato. «Sono certa - dice - che appartieni a quella categoria di uomini resi immortali dalla fama».
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