Economia

L’Alitalia dà il benservito ai ribelli del Sult

L’azienda «cancella» il sindacato delle hostess: non è rappresentativo

Paolo Stefanato

da Milano

Si è improvvisamente surriscaldato il clima sindacale all’Alitalia, dove da mesi è in atto un braccio di ferro tra il maggior sindacato degli assistenti di volo, il Sult, e l’azienda. Il Sult dal 18 settembre dello scorso anno (rinnovo del contratto) non ha più messo una firma sotto ad alcun documento: in particolare, non ha sottoscritto il 25 febbraio gli accordi applicativi del contratto, firmati invece da tutte le altre sigle sindacali. Tale irrigidimento è stato motivato con modalità di lavoro (turnazioni, formazione degli equipaggi) tali da non garantire la sicurezza del volo. Quattro scioperi indetti dal Sult (il 10 e il 21 febbraio, il 16 marzo e il 18 luglio) hanno messo in ginocchio la compagnia e distribuito disagi ai passeggeri. Nella sua conferenza stampa per l’annuncio dell’approvazione del piano industriale a Bruxelles, il presidente dell’Alitalia, Giancarlo Cimoli, ha commentato con parole dure l’«irresponsabilità» di questo atteggiamento, mentre la compagnia sta lottando per la sua sopravvivenza.
Le notizie di questi giorni sono allarmanti. Venerdì il Sult è stato escluso dal comitato paritetico e dagli altri tavoli di confronto sindacale: con una lettera l’Alitalia ha comunicato ai suoi dirigenti di non considerarlo più rappresentativo in ambito aziendale, poiché «soggetto non firmatario del contratto collettivo di lavoro, non avendo completato il percorso negoziale finalizzato al suo perfezionamento». Il Sult ha reagito proclamando una «mobilitazione immediata e progressiva in difesa del proprio futuro, della democrazia e del sindacato», e gli iscritti sono stati invitati a indossare un «simbolo distintivo» della protesta sulle proprie divise.
Una situazione così inasprita non fa prevedere nulla di buono. La tregua sindacale di agosto impedisce oggi scioperi che, con tutta probabilità, arriveranno a settembre. L’Alitalia non ne ha bisogno. I problemi si stanno sinistramente aggrovigliando sul tavolo di Cimoli: i conti dell’azienda peggiorano a causa dei rincari del petrolio (fonti sindacali parlano di maggiori costi fino a oggi per 300 milioni) e rischiano di mandare all’aria le previsioni contenute nel piano industriale. Senza compatibilità economiche è in pericolo la ricapitalizzazione che prevede l’ingresso di investitori privati.

E senza ricapitalizzazione Cimoli sarà costretto, tra due ali di avvoltoi, a portare i libri in tribunale.

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