L’allarme dei big: «Decide tutto Walter»

da Roma

Il primo giorno dopo la nascita ufficiale del Partito democratico è un giorno di paure e malumori, di rancori e propositi di vendetta.
Son in allarme, gli apparati di Ds e Margherita, i dirigenti dalemiani e fassiniani, popolari e rutelliani. Perché Walter Veltroni ha cominciato a fare sul serio, e da subito: il partito glielo hanno messo in mano quei tre milioni di votanti alle primarie. E lui ha tutte le intenzioni di prenderselo. E di non finire ostaggio delle nomenklature dei partiti che furono.
Ha iniziato già dalla kermesse di Milano, prendendo tutti in contropiede e annunciando i 300 nomi dei componenti delle commissioni che dovranno scrivere le regole del nuovo partito. «Li ha scelti tutti lui», dicono i suoi: certo ha consultato, riunito, trattato. Ha assicurato che le scelte sarebbero state fatte in cooperazione con le segreterie regionali e nazionali di Quercia e Dl. «Poi alla fine ha fatto lui», confidano smarriti al Botteghino. Dove i dirigenti più autoironici di quello che fu il partitone della sinistra, interpellati, rispondono così: «Stiamo aspettando che vengano a prenderci con i carriarmati. Le ultime sacche di resistenza stanno cedendo».
E farà «lui» anche sul resto degli organismi: il prossimo esecutivo (provvisorio) del Pd sarà nominato dal segretario, e non eletto. I big sono stati tagliati fuori dalle commissioni decisive, soprattutto quella che si occuperà dello statuto: niente ministri, niente segretari, niente D’Alema, Fassino, Rutelli, Bersani.
Per ora, gli unici a dar voce al malumore per il «leaderismo» veltroniano sono i prodiani. Non Prodi, che ha ben altri problemi da affrontare, a cominciare dal futuro prossimo del suo governo. E ai suoi fa capire che se ne laverà le mani: «La strada dei pellegrini è lunga...», sospira sibillino a chi gli chiede dei dissensi nel Pd. Protestano invece gli ulivisti della prima ora come Arturo Parisi, che si vedono scippata la creatura che doveva azzerare i Ds dal più versatile dei diessini su piazza. Protesta la perdente Rosy Bindi, che ieri è tornata a dar voce alla sua «delusione»: «Sono preoccupata, nelle conclusioni del segretario ci sono troppe ambiguità sia politiche che organizzative. È una brutta partenza». E si chiede accorata: «Perché sono stati votati pieni poteri al segretario? In questa fase servivano contrappesi». Reclama Franco Monaco: «Vogliamo decidere insieme, no ad acclamazioni e cooptazioni». Il problema, per Monaco e per gli altri, è che Veltroni non vuole decidere con loro, e impantanarsi tra le mille anime e correnti dissonanti del suo partito. Se mollasse, ne diventerebbe presto ostaggio.
E d’altronde, come spiega un dirigente ds (previo anonimato), «Walter ha la strada spianata: nessuno ha il coraggio di contestarlo, ora.

Anche nei ds c’è grande preoccupazione, ma la parola d’ordine è: non possiamo apparire come i frenatori». E la ragione è semplice: «Le elezioni potrebbero essere presto e Veltroni è l’unica chance che abbiamo per combattere con Berlusconi. Senza di lui, la sconfitta è certa e definitiva».

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