Premetto che sono un fan dei fuochi dartificio. Fin da bambino mi hanno sempre affascinato, specie quando di fianco avevo papà e mamma che mi dicevano di non aver paura del botto finale, quello che intimoriva con il suo tonfo sonoro basso, quasi sepolcrale, che suggellava la fine dello spettacolo.
Ancora oggi mi diverto moltissimo a vedere quelle mirabolanti figure incise nel cielo notturno da sapienti cesellatori di luci, ma casomai sul mare o in montagna o in posti lontani dalla città, dove i danni prodotti da fuochi, e botti dogni genere costringono le amministrazioni a vietare (giustamente) ogni spettacolo di questo tipo, sia esso fatto da professionisti o peggio, gestito dalle mani inesperte di chi finisce che, prima o poi, ne perde una.
Torino è sempre stata unantesignana nel vietare artifici esplodenti, durante le festività natalizie e anche questanno è in prima fila in questa battaglia di civiltà, seguita peraltro da numerosi altri comuni che, vuoi per lincolumità di persone e animali, vuoi anche per motivi dinquinamento, ne stanno seguendo lesempio.
Da diversi anni scrivo di questo argomento, proponendo unalternativa che è stata presa in considerazione rarissime volte. Ci sono fabbricanti di fuochi artificiali che non ci stanno a mettere assieme genericamente i «botti» e larte della pirotecnia che nasce in oriente oltre mille anni fa. In Giappone la pirotecnia è unarte e i nipponici sono veri maestri. Se la fioritura dei ciliegi, si chiama «hanabi», i fuochi dartificio si chiamano «hanami» e con questa semplice similitudine si comprende che cosa significhi per loro uno spettacolo pirotecnico. Fiori che sbocciano, pagode dai mille colori, risciò che si compongono nel cielo notturno con un miracolo di precisione. Ma soprattutto, i giapponesi, insofferenti dei rumori molesti, danno luogo a spettacoli silenziosi, preferendo larte e la suggestione visiva al rumore e alle mani spappolate (che da loro restano miracolosamente integre). Per quanto, come mi raccontava tempo fa Salvatore Argirò, non si possa eliminare del tutto il rumore, perché la salita in cielo necessita di una camera di scoppio, lo si può attutire in modo sostanziale, mentre i disegni che sbocciano nel cielo, colorati dal sapiente uso dei sali di bario, stronzio, e rame non avrebbero bisogno di alcuno scoppio.
Giusto applaudire i divieti di Torino e delle altre città, ma si potrebbero prendere in considerazione questi «silent fires» (fuochi silenziosi) per farci sognare senza spaccarci le orecchie (e altro).
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