L’altolà dell’Inps: non toccate la riforma del Polo

da Roma

L’unico modo per garantire l’equilibrio del sistema pensionistico è non cambiare niente, non mettere mano alle leggi attualmente in vigore e applicare le due grandi riforme previdenziali degli ultimi dieci anni: la Dini e la Maroni. È un giudizio da tecnico quello esposto dal presidente dell’Inps Gian Paolo Sassi in un’audizione parlamentare. Ma che non poteva non avere implicazioni politiche e suscitare reazioni da parte dei partiti della maggioranza. «A normativa vigente, ovvero con lo scalone e con la rideterminazione dei coefficienti - ha spiegato alla Commissione bicamerale di controllo sugli enti previdenziali - siamo in equilibrio fino al 2050. Non ci dobbiamo preoccupare dei conti della previdenza».
Un sistema in equilibrio, ma non dal punto di vista politico, quindi. Non è possibile, come vorrebbero i sindacati e la sinistra radicale, non toccare i coefficienti di trasformazione previsti dalla legge Dini (quelli sulla base dei quali si calcolano le pensioni in rapporto ai contributi pagati). Il rischio è di fare false promesse ai giovani, un po’ «come promettere alle nuove generazioni che saranno pagate con moneta da tre euro». Quello che si potrebbe cambiare dei coefficienti è la scadenza delle revisioni, oggi prevista ogni dieci anni. Così - ha osservato Sassi - «si trasforma un fatto tecnico in una fatto politico». La migliore pratica, è la revisione «ogni tre anni in modo automatico», come in Svezia.
A proposito dello scalone, Sassi ha spiegato che l’innalzamento dell’età pensionabile da 57 a 60 anni nel 2008 riguarderà 180-190mila lavoratori. A regime, la misura «produrrà risparmi su parecchie annualità, fino al 2043», ma ha anche auspicato che siano esclusi i lavoratori usuranti e quelli precoci.
Tesi respinte dai partiti della sinistra, in particolare dai radicali che chiedono l’abolizione dello scalone. C’è stato chi, come Gianni Pagliarini (Pdci), presidente della commissione Lavoro della Camera, ha contestato a Sassi un’impostazione che considera solo «l’equilibrio formale» e non le persone in carne e ossa. Sulla stessa onda il segretario della Cgil Guglielmo Epifani secondo il quale «sono le parole di un tecnico che io rispetto ma qui stiamo discutendo di un principio di equità sociale e questa è una questione non da tecnici».
Il leader della Cgil ieri ha ribadito che lo scalone va abolito e che la partita va chiusa entro luglio. Un modo per evitare che le pensioni diventino un argomento della Finanziaria 2008. Ma anche la conferma che di un timore che sta crescendo dentro le organizzazioni sindacali che sono maggiormente contrarie all’innalzamento dell’età. «Non vorremmo che la strategia sia prendere tempo, fino a quando, nonostante gli impegni presi, sarà troppo tardi per intervenire», ha detto ieri Renata Polverini, segretario generale dell’Ugl, sindacato vicino alla destra che in questa partita ha una posizione simile alla Cgil.

E anche a Corso d’Italia cresce il sospetto che nella maggioranza ci sia chi cerca di rinviare il nodo della previdenza per arrivare al 2008. Quando entrerà in vigore lo scalone della Maroni e, di conseguenza, l’equilibrio previdenziale sarà salvaguardato e la «colpa» sarà del precedente governo.

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