Politica

L’amarezza di Napolitano: a vuoto i miei appelli

Il capo dello Stato: "Posso solo lanciare messaggi in bottiglia senza certezza che siano raccolti"

L’amarezza di Napolitano: a vuoto i miei appelli

Treviso - «Che posso fare? Io mando messaggi in bottiglia, senza la certezza che vengano raccolti... ». Nel giorno della grande delusione, a Giorgio Napolitano non resta che allargare le braccia: «È un momento difficile per la politica e per la nostra vita democratica». L’appello a trovare un’intesa sull’Afghanistan, in nome del superiore interesse nazionale, è caduto nel vuoto e la bottiglia del Crusoe del Quirinale adesso galleggia tra le onde alte del Senato. Lui però non si arrende: «Il mio lavoro è questo, continuerò a farlo». È questo, quello cioè di «sottolineare impegni, aspettative e problemi» e indicare la «via della continuità» in politica estera. Non quello di arbitrare il pugilato tra e dentro i Poli. E nemmeno quello di stabilire dall’alto l’autosufficienza di una maggioranza, problema politico e non istituzionale.
Certo, resta l’amarezza di non riuscire a trasferire a Roma il clima «di concordia» che talvolta si respira perfino in zone di antico contrasto come il Veneto. Davvero «un momentaccio». «È mia responsabilità - spiega il presidente - mandare degli avvisi al Paese, a tutte le forze rappresentative. So bene che possono apparire come dei messaggi nella bottiglia, senza la certezza di essere raccolti. Ma è mio dovere lanciarli». I poteri del capo dello Stato, dice, sono scarsi e pure un po’ vaghi. «Tra questi probabilmente il principale è quello della moral suasion, cioè della persuasione».
Capita però che i partiti non gli diano retta. «Io non posso certo dare risposte che spettano al governo e al Parlamento - insiste Napolitano -. Mi sento comunque di dover sottolineare impegni, aspettative, problemi che non devono essere esposti agli alti e ai bassi della politica, al succedersi dei governi e delle maggioranze, ma che sono esigenze che richiedono continuità». Sì dunque «alla normale dialettica» e al diritto di ciascun esecutivo «di cambiare le decisioni prese da quello precedente». Però ci deve essere «condivisione su alcune grandi questioni», tipo «la modernizzazione del Paese», le riforme istituzionali e, appunto, la politica estera.
In serata Napolitano torna a Roma per seguire dal suo studio il voto in Senato. L’interesse del presidente non è puntato sulla fatidica quota 158, quella che garantisce al centrosinistra l’autosufficienza. Visto dalla prospettiva del Colle, quello che conta è il passaggio del decreto. Il come, interessa di meno. I soccorsi esterni, le stampelle, possono infatti rappresentare un problema politico, non certo un problema istituzionale, un caso ben diverso comunque dall’incidente di metà febbraio, quando il governo andò sotto sulla politica estera. Allora Napolitano impose a Prodi l’apertura di una crisi formale e un passaggio alle Camere per cercare la fiducia. Adesso il presidente è «pronto» a ricevere al Quirinale i leader del centrodestra.

Ma più dell’ascolto, se non ci sono fatti traumatici, non può offrire.

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