(...) e questa città. Poche persone non liguri riescono a capirne lessenza come lei. Sono nata nel centro storico, spesso incautamente vado girando per risentire alcune sensazioni perdute. E che dire di De Andrè? Siamo coetanei, mi ha accompagnato con le sue canzoni tutta la vita. Grazie».
Roba da pelle doca. Così come sono da pelle doca alcune bellissime poesie che mi ha mandato laltro giorno unaltra nostra amica del Giornale, Irma Actis. Le ha spedite non perchè le pubblicassimo, ma perchè le leggessimo. Conoscendosi e riconoscendosi in una famiglia dove la poesia non solo ha diritto di cittadinanza, ma è il primo dei valori. Conoscendosi e riconoscendosi in una famiglia dove tutti - da Mario Giordano che ha firmato pagine bellissime raccontando vicende personali, i suoi articoli più belli di sempre, allultimo dei collaboratori - hanno lumanità come valore aggiunto. E credo che la risposta del nostro direttore alla lettrice che ieri chiedeva di non regalare De Andrè alla sinistra non sia altro che lennesima prova di quello che sto scrivendo.
Allingresso della mostra e sul catalogo, Faber descrive così la nostra città: «Quando durante la guerra ero sfollato in Piemonte, Genova per me era un mito. A cinque anni la vidi per la prima volta e me ne innamorai subito, tremendamente».
Subito, tremendamente. Sta tutto qui. In questo tempo istantaneo e infinito. Innamorarsi di Genova, sta tutto qui.
Così come innamorarsi della bellezza di uno sguardo, quello di Dori. Vederla laltra sera nello speciale del programma di Minoli su Raidue era vedere limmagine della bellezza. I capelli biondi, gli occhi chiari, il sorriso dolce. Soprattutto, sorrideva con ogni parte del viso, Dori. Con la bocca, con gli occhi, con lo sguardo.
Bella, bellissima. Più bella che nei filmati di ventanni fa. Bella della bellezza dellamore: «I suoi testi esistono, la sua voce la puoi ascoltare. Ma quella che io conosco, quella per me, quella di quando parlavamo insieme, mi manca tanto». Bella della bellezza dellamore che non muore: «Non riesco a trovare difetti in lui. Ha un fascino tale che ogni volta che lo vedo, me ne innamoro come fosse il primo giorno». Che poi è lunico modo di amare veramente. Quello che riservi alla tua donna, alla mamma dei tuoi bimbi, alla tua città. A Genova.
Ancora Faber, nella sua frase su Genova che apre la mostra ed è un fiore nel catalogo: «Genova per me è come una madre. È dove ho imparato a vivere. Mi ha partorito e allevato fino al compimento del trentacinquesimo anno di età: e non è poco, anzi, forse è quasi tutto. Oggi a me pare che Genova abbia la faccia di tutti i poveri diavoli che ho conosciuto nei suoi carruggi, gli esclusi che avrei poi ritrovato in Sardegna, le graziose di via del Campo. I fiori che sbocciano dal letame».
Non serve aggiungere altro.
E, anche se parliamo di Faber, stavolta non è una Cattiva strada.
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