L’analisi Così al tavolo del centro l’Udc si è giocata tutto

Puff. È sparita l’Udc. Nel gioco delle tre tavolette organizzato sul tavolo elettorale dal Terzo polo, l’unico risultato certo è che Pierferdinando Casini e i suoi son spariti da Milano. Roba che non capitava da lustri non vedere in aula gli ex democristiani di quell’area con i loro tanti diversi nomi, ma da sempre abituati a cogliere il refolo giusto per riaffacciarsi puntuali al momento di spartire assessorati e poltrone. Questa volta, almeno a Milano, non sarà così. Non un consigliere e nemmeno un assessore. Spazzati via dal «vento di novità» che soffia su Giuliano Pisapia, ma soprattutto dalla scelta tutta consumata nelle stanze dei palazzi romani di abbandonare il centrodestra. L’alveo nel quale un elettorato, soprattutto in Lombardia, tradizionalmente orientato da quella parte si era sempre ritrovato. E accomodato. Ma questa volta, per ordine di Casini, non è andata così. E il risultato è stato uno spietato zero tituli. L’ammucchiata con i «futuristi» di Gianfranco Fini e le api (nel senso dell’Alleanza per l’Italia) di Francesco Rutelli ha portato soltanto all’estinzione dell’ex democristiano casiniano. Un fatto nuovo. Da non derubricare a evento locale perché se è vero che come si dice che Milano è il laboratorio che anticipa i fenomeni, questa batosta dovrebbe essere ben più che un campanello d’allarme. Un campanone piuttosto. Anche se largamente previsto dai dirigenti locali del partito che più volte hanno tentato di convincere Casini a trovare un modo per appoggiare, magari indirettamente, Letizia Moratti e il centrodestra. È del resto indubbio che l’assessore Gianni Verga sia rimasto fino all’ultimo giorno nella giunta di lady Letizia. Con il bravo capogruppo Pasquale Salvatore a gestire il lavoro d’aula senza mai nessuno strappo. Piano di governo del territorio, bilanci, operazioni urbanistiche, collocazioni in borsa hanno sempre potuto contare sull’appoggio dell’Udc. Ora niente. Un lavoro travolto dalle ambizioni romane. Con una beffa in più. Quel Bruno Tabacci che, più democristiano dei democristiani, è riuscito invece a salire sull’onda giusta per spiaggiarsi su un assessorato di gran prestigio. Quello al Bilancio, la cassaforte della città su cui lo hanno spinto i salotti buoni e la finanza. Soprattutto cattolica, come sempre pronta a fiutare il vento che gira.
Una poltroncina l’hanno rimediata perfino i «futuristi» di Gianfranco Fini che hanno comunque perso per strada candidati forti come Barbara Ciabò (che con la Moratti presiedeva la prestigiosa commissione Casa) e la telegenica Sara Giudice. Ora a Palazzo Marino resta solo il candidato sindaco Manfredi Palmeri sconfitto per il piano nobile, ma ripescato per l’aula. Una buona base per Fli da cui lanciare proposte e iniziative. E magari, visto che Palmeri aspirava con qualche ragione alla presidenza del consiglio, dar vita a un’opposizione al centrosinistra in grado di dare visibiltà al nuovo partito.

Visibili i «futuristi» finiani, visibili gli api di Rutelli con Tabacci in giunta, a rimaner fregati son stati quelli di Casini. Con buona pace della proverbiale capacità strategica di Pierferdy, l’allievo di Arnaldo Forlani.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica