L’analisi Cura giusta al momento giusto: apre la strada alla rivoluzione federalista

La manovra del governo ha innanzi tutto tempi corretti: fatta prima avrebbe provocato sull’Italia più effetti recessivi da parte della crisi globale aperta nel 2008, rimandata avrebbe drammaticamente indebolito la già incerta leadership europea alle prese con le fragilità non solo greca ma anche spagnola e in parte inglese.
Bene i tempi, dunque, e bene la forma non troppo pesante sia per mantenere l’ottimo livello di coesione sociale raggiunto, sia perché correzioni più profonde vanno compiute quando un’economia come la nostra, non «massiccia» come quelle francese e tedesca, sia ripartita grazie a un export incentivato da un euro più debole. Naturalmente si è di fronte ancora a provvedimenti di contrasto a una situazione internazionale incerta, alcune scelte di fondo vanno ancora compiutamente delineate. Non sarebbe male che in questo senso quello sforzo bipartisan su cui ha difficoltà la nostra sinistra a misurarsi in campo nazionale, venisse prodotto almeno su scala continentale chiedendo una politica di interventi strutturali (mobilità, energia, reti telematiche) finanziata a livello europeo e non nazionalmente.
Al di là di interventi comunitari, la manovra italiana è importante non solo congiunturalmente ma perché imposta anche le basi per scelte di più ampio respiro. Il non mettere nuove tasse anche nell’emergenza ha un valore strategico. L’imporre una cornice rigida alla spesa pubblica nasce da impostazione non effimera. La manovra, poi, abbozza un federalismo fiscale che non vuole (al di là di quel che sostengono i tanti mossi da volontà politica disgregatrice) aumentare la spesa: dopo avere avviato una gestione locale del demanio legata al territorio, si è iniziato a trasferire poteri di coordinamento «locale» sul controllo dei patrimoni immobiliari e si comincia a delineare una compartecipazione degli enti territoriali nel recupero dell’evasione fiscale a partire dall’Iva. L’avere aperto la riflessione su enti i cui costi vanno contenuti (e in alcuni casi eliminati) come le Province, per prime le particolarmente piccole o in disavanzo, e l’avere rinviato le decisioni, è un’impostazione di rilevanza «federalista»: è al territorio che vanno rimesse decisioni di autorganizzazione, fatti salvi i costi dello Stato centrale. Si tratta di consentire in prospettiva al cittadino di scegliere: vuoi la tua provincetta, ti paghi la tua tassolina. Lo Stato ti consente di decidere ma a occhi aperti. Senza più inganni su entrate e uscite indifferenziate.
Anche il contenimento di costi delle Regioni e di una sanità pubblica spesso fuori controllo ha il senso di porre basi concrete alla discussione sui parametri della spesa pubblica: Roberto Formigoni ha qualche ragione nel protestare perché si assimilano situazioni rigorose e realtà allo sbando. Ma solo partendo da una griglia rigida si può riuscire a ottenere politiche flessibili di rientro da costi fuori dal mondo. Finché le Regioni agiranno come un fronte unitario che copre solidaristicamente tutti gli sprechi, non procederanno le azioni di risanamento.


La griglia costruita dalla manovra non è certo la riforma federalista del fisco ma è la premessa perché questa venga fatta tenendo la spesa sotto controllo con l’obiettivo di breve medio-periodo di abbassare le tasse e non alzarle. Come peraltro viene già fatto nel Sud con l’Irap: una scelta assai illuminata di incentivi agli investimenti non sottoposti alla discrezionalità di ceti politici locali spesso inopportunamente affamati.

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