L’analisi Quel gioco di «teste di legno» che nasconde il capo

Secondo Fini «a Montecarlo le società off-shore sono la regola, non l’eccezione», ma dato che noi (e lui) siamo in Italia forse è il caso di raccontare alcune cose di come funzionano queste società.
Si tratta di intestatari fittizi e nascosti, configurabili alla bisogna: tutto facile e velocissimo. Il trucco più semplice per depistare e confondere è la duplicità fra le due figure dello «shareholder» e del «beneficial owner» e lo scrive a chiare lettere qualsiasi agenzia che si occupi della costituzione di queste «scatole nere». In pratica sulle azioni della società viene scritto un nome di una «testa di legno» o finto proprietario (lo shareholder) che a sua volta, con un documento riservato, trasferisce i suoi poteri al vero proprietario, (il «beneficial owner» appunto). La cosa è chiaramente riportata nelle «domande frequenti» dei siti dai quali si può costituire la propria società a Saint Lucia o in altro paradiso fiscale anche online con pochi clic di computer, come ad esempio www.myoffshorecompanies.com. Sia la testa di legno che il vero titolare possono cambiare facilmente, senza contare che le azioni possono addirittura essere al portatore, quindi senza un titolare esplicito ma semplicemente possesso di chi le abbia fisicamente.
È evidente comunque che nella storiaccia della casa di Montecarlo quello che conta è chi fosse (passato, perché come abbiamo visto è facile cambiarlo) il «beneficial owner» delle società off-shore che hanno acquistato la casa, non rilevando chi fosse la testa di legno e meno che mai chi lo sia adesso, tanto più che l’avvocato che è saltato fuori dicendo che le società sono di un suo cliente, parla appunto di azioni al portatore, che pertanto sono di chi le ha in mano, come il due di picche. Chi fosse il vero titolare lo dice chiaramente l’unica autorità che lo può affermare, vale a dire il governo del Paese in cui la società è stata costituita. Il ministro di Saint Lucia non è affatto ambiguo nella sua lettera e nemmeno dice, come grossolanamente travisano D’Avanzo su Repubblica e i finiani, che in quel documento si indichi genericamente Tulliani come affittuario. Nella lettera il ministro afferma esplicitamente che il cognato di Fini è il «beneficial owner», quindi il reale proprietario, usando la terminologia precisa di chi con quelle scatole nere ci traffica abitualmente. Fini ha scandito nel suo videomessaggio di ieri che se dovesse essere dimostrato che la società era di Tulliani si dimetterebbe. Tanto dovrebbe bastare: c’è una società di Saint Lucia e c’è la massima autorità del Paese che ne conferma la titolarità effettiva. Che si vuole di più? Il resto è negare l’evidenza o depistare. Di certo non basterà tirar fuori un’eventuale testa di legno con azioni al portatore o velocemente intestate alla bisogna per confutare la cosa.

Poi, se vogliamo dire che in quell’isola sono tutti farabutti e quindi non c’è da fidarsi possiamo anche farlo, ma allora chi l’ha fatto fare a Fini o a chi per lui di vendere un bene sociale a dei disonesti? Se non ci si fida del governo come ci si può fidare di qualsiasi altro documento societario proveniente da Santa Lucia? La soluzione, al di là dei tecnicismi, dovrebbe essere molto semplice: se Tizio è il presidente del circolo della pesca e svende per due soldi il laghetto sociale ad una società caraibica e, dopo due giorni, si vede un suo parente che lo recinta, non ci dovrebbe essere bisogno di rogatorie internazionali né di «aspettare la magistratura» (vale a dire il giorno del mai), per sapere come è andata veramente.

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