L’analisi Quella finanza che non piace neanche a Guido Rossi

L’intervista di Guido Rossi sulla Repubblica di ieri non è d’occasione. Certo, si trovano giudizi un po’ catastrofici sull’intreccio tra crisi del capitalismo e crisi della democrazia, ripresi dalle considerazioni di esponenti del pensiero liberal americano, e appare pure a un certo punto una forse eccessiva sopravvalutazione del sistema cinese indicato come il più attento esecutore del pensiero keynesiano: anche se il potere essenzialmente basato sui militari a Pechino non corrisponde al pieno funzionamento di una società basata su valori liberali.
Ma al di là delle valutazioni generali, accanto alla tradizionale e non inefficace battaglia contro forme di monopolio e mancanza di trasparenza nell’economia, c’è nel giurista e avvocato d’affari milanese una particolare attenzione anche ai movimenti di potere in corso nel mondo, che merita particolare attenzione.
Così la preoccupazione per certa finanza internazionale che non è ancora rientrata in regole ben precisate, i Global legal standard, continuando a squilibrare il funzionamento dell’economia mondiale. E non si parla solo di tendenze astratte bensì di soggetti precisi come Goldman Sachs accusata di avere troppa influenza sull’amministrazione obamiana e di esercitarne tanta anche all’estero attraverso i suoi «affiliati»: considerazione che fa rumore in un’Italia dove automaticamente si pensa ad autorevoli personalità quando si valuta la sfera d’influenza del colosso a stelle e strisce. Da parte della banca americana proprio ieri il presidente, amministratore delegato Lloyd Blankfein e il direttore generale Gary Cohn hanno risposto alle tante critiche in circolazione. Ma è improbabile che abbiano convinto Guido Rossi che da qualche tempo, prima sulle richieste di commissariamento di Fastweb, poi sull’arresto della riforma del sistema finanziario globale, si è fatto la convinzione che il blocco alla democrazia non venga esclusivamente dai soliti nemici indicati dalla sinistra (respinge con fastidio per esempio l’idea che le banche italiane siano «al momento» troppo condizionate dalla politica). Si è notato che stia maturando anche nel Financial Times una visione più realistica di quella che è oggi la crisi e delle forze che ne ostacolano la soluzione. In questo senso si muovono anche alcune osservazioni rossiane. E per di più ciò avviene sulle pagine della corazzata debenedettiana.


In parte (e il fantasma di Lehman Brothers appare all’inizio dell'intervista al giurista milanese) le recenti rivelazioni processuali su come è stata liquidata la grande rivale di Goldman Sachs sono diventate una sorta di spettro di Banquo (l’amico fatto uccidere a tradimento da Macbeth nel dramma shakespeariano) nel sistema finanziario internazionale. In parte i seguaci del realismo crescono in tutti gli angoli della società italiana. Il che potrebbe essere un buon viatico per una concreta politica di riforme.

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