L’analisi Ripensare l’adesione turca all’Unione Europea

di Livio Caputo

C'è chi dice che l'Occidente non può permettersi di perdere la Turchia e perfino chi sostiene che la vistosa deriva «mediorientale» del governo turco, sotto la guida del partito islamista Akp, è colpa dell'Unione Europea, perché trascina troppo in lungo i negoziati per l'adesione di Ankara. Ma, analizzando gli ultimi avvenimenti, è forse il caso di rovesciare il problema: ha un senso insistere con queste trattative, con la prospettiva di prendersi «in casa» un Paese musulmano di 75 milioni di abitanti che sta gradualmente ripudiando le sue radici laiche, decapitando con un processo-farsa il vecchio establishment kemalista e adottando una politica estera in contrasto con i nostri interessi? È chiaro che in questo momento una rottura non farebbe che aggravare le tensioni e che perciò è meglio proseguire con lo stanco rituale che si trascina a Bruxelles ormai da cinque anni. Sarà tuttavia opportuno che chi dovrà prendere la decisione finale tenga bene a mente quello che sta succedendo in questi giorni: Ankara che prima avalla e incoraggia una spedizione di pseudopacifisti decisi a forzare il blocco navale di Gaza e, dopo il suo tragico epilogo, dichiara, prima ancora che sia stata accertata la sequenza dei fatti, che «Israele deve essere punito per questo atto di terrorismo di Stato» (il premier Erdogan), che «la Turchia non perdonerà mai questo attacco» (il presidente Gül); Ankara che accoglie come eroi i reduci dalla spedizione, con migliaia di persone in piazza che urlano (in arabo!) «Allah è grande», «Morte a Israele» e «Siamo tutti palestinesi» e i parenti dei caduti che non esitano a dichiarare che tutti aspiravano in realtà a diventare martiri; Ankara, infine, che sempre per bocca del suo primo ministro proclama - contrariamente alla posizione ufficiale di Ue e Stati Uniti - che «Hamas non è una organizzazione terroristica».
Ma non è solo per questo che Erdogan, da premier di un Paese che nei sogni dell'Europa doveva fare da ponte con il mondo islamico, si è trasformato in un eroe della piazza araba. Da quando, in seguito alla spedizione punitiva israeliana contro Gaza, fu protagonista di un clamoroso litigio pubblico con il presidente Peres, il premier turco ha praticamente rotto con l'ex alleato israeliano e preso iniziative incompatibili con una (sia pure ipotetica) appartenenza alla Ue: ha stabilito una specie di asse con Damasco e Teheran, ha offerto insieme con il brasiliano Lula una «soluzione» al problema dell'atomica iraniana che fa il gioco di Ahmadinejad e si oppone a nuove sanzioni contro il regime degli ayatollah.

Intanto, sul fronte interno dà sempre più spazio alle forze islamiche, con il risultato di cambiare l'atmosfera tollerante del Paese. L'assassino del vescovo Padovese avrà anche impugnato il coltello perché ha avuto delle visioni, ma forse queste visioni non ci sarebbero state se la Turchia fosse rimasta quella di cinque anni fa.

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