Buone ragioni (anche politiche) per indirizzarsi verso unItalia federale ve ne sono molte: da tempo sia i sindacati che la Confindustria chiedono una modifica del sistema tributario, così da ridurre le imposte; si è avuta unimpetuosa avanzata elettorale della Lega; ma soprattutto i conti pubblici vanno messi sotto controllo, se non si vuole fare la fine della Grecia. La strada di un fisco che ridimensioni il ruolo di Roma a favore delle autonomie pare insomma tracciata, dato che è urgente introdurre un legame più stretto tra entrate e uscite, responsabilizzando i centri di spesa.
Sebbene molti stentino a comprenderlo, un vero assetto federale aiuterebbe infatti a ridimensionare la spesa pubblica e permetterebbe di contenere la stessa pressione fiscale: per più di un motivo.
Innanzitutto, il fatto di avvicinare contribuenti e politici è destinato a modificare in meglio il comportamento dei secondi. Ora, in sostanza, ogni amministratore locale è indotto a cercare di spendere quanto più sia possibile, dato che le risorse provengono dalla fiscalità complessiva. Qualora fossero i suoi stessi elettori a dover pagare, l'atteggiamento cambierebbe.
Per giunta, se dovessimo indirizzarci verso un assetto federale le Regioni entrerebbero in concorrenza poiché ognuna stabilirebbe non solo differenti bilanci, ma anche distinte forme di prelievo. Regioni e città si troverebbero quindi a competere tra loro per attrarre imprese, famiglie e capitali. In fondo, il segreto della Svizzera è tutto lì: circa sette milioni di cittadini sono ripartiti in ventisei Cantoni e ognuna di queste minuscole province deve fare del proprio meglio per offrire un pacchetto di costi e benefici che attiri gli investitori. Il risultato complessivo è che la tassazione è modesta e la qualità dei servizi assai alta.
In Italia riforme di questo tipo sono tanto più urgenti se si considera lesigenza di intervenire nel Mezzogiorno, che è la vittima principale dellattuale sistema unitario. Se la spinta verso una maggiore autonomia fiscale proviene dal più che legittimo egoismo del Nord, è ormai chiaro a molti che chi ne trarrebbe i maggiori vantaggi è proprio il Sud, che ha bisogno di uscire dalla trappola di quellassistenzialismo che ora ne impedisce lo sviluppo. In virtù delle logiche redistributive dominanti, attualmente un euro di spesa pubblica in Calabria costa solo 27 centesimi alla popolazione locale, mentre in Lombardia costa 2,45 euro. In tali condizioni, è fatale che nel Mezzogiorno vi sia un forte sostegno per la spesa statale, che il rapporto tra lavoratori del pubblico e del privato sia così sbilanciato, che manchi un autentico dinamismo economico. Per di più il centralismo attuale è caratterizzato da uniformità di stipendi per i dipendenti statali e questo genera un incentivo irresistibile, nel Sud, a cercare un impiego nella scuola o al catasto, con la conseguenza che limprenditoria privata meridionale continua a essere poca cosa.
Il federalismo insomma si impone, ma a condizione che sia tale. Vi è purtroppo unalta probabilità di mettere in cantiere un federalismo fasullo, meramente «di spesa», che aumenti le risorse a disposizione di Regioni e Comuni, ma non modifichi limpianto attuale. Bisogna allora che i decreti attuativi della legge Calderoli valorizzino la libertà degli enti locali, permettendo a questi ultimi di definire modalità ed entità dei prelievi. Solo così si potrà avere unautentica concorrenza tra i territori e solo in tal modo alcune aree potranno imitare - ad esempio - quei Paesi dellEst che oggi attraggono imprese grazie a una tassazione contenuta (e una spesa pubblica che si adegua a questo).
Se invece si avrà paura di concedere eccessiva autonomia a Venezia o Bari, avremo un federalismo solo di facciata e a quel punto si rischierà di aggravare una situazione già tanto difficile.
La stessa questione degli aiuti al Sud è importante, ma non decisiva. Quanti vivono grazie alla «mafia degli appalti» ovviamente non apprezzano che si intenda ridurre il flusso di denaro che dal Nord prende la strada del Sud, ma per fortuna nel Meridione vi è anche chi ha capito che lo schema assistenziale ha ormai fallito e che è quindi necessario puntare sul libero mercato.
Per giunta, in considerazione degli stessi vincoli costituzionali, una robusta «perequazione» comunque resterà. Questo però non deve impedire che i nuovi tributi regionali e comunali siano manovrabili, e cioè che spetti alle realtà locali - come avviene in Svizzera - definire le dimensioni del prelievo. Se questo succederà, i frutti si vedranno presto.
Fino a pochi giorni fa cerano davvero poche speranze di avere un fisco autenticamente locale e concorrenziale. Lesito delle urne potrebbe aver cambiato lo scenario complessivo. Per il bene dell'Italia intera, cè da augurarsi che sia così.
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