L’anima «nera» del commercio genovese

Su meno di 86.000 aziende presenti in Provincia, ben 6.645 sono di stranieri

Edoardo Musicò

Controllo rigoroso nell'apertura di nuovi servizi di telefonia per stranieri, i cosiddetti phone center, lotta ai prodotti contraffatti, in collaborazione con le forze dell'ordine, più controlli per contrastare la criminalità e rafforzamento delle iniziative dei Centri Integrati di Via, per migliorare la qualità di vita nei quartieri, favorendo lo sviluppo delle attività commerciali e aiutando i giovani ad aprire nuovi negozi e imprese di servizi. Sono queste, in sintesi, le iniziative intraprese dalla Confesercenti di Genova per favorire il rilancio delle attività commerciali a partire dal centro storico, in un quadro di concorrenza leale tra operatori economici genovesi e stranieri. Uno dei problemi sotto esame riguarda proprio i centri di telefonia per stranieri, che, nel centro storico, sono spuntati come funghi negli ultimi anni (su circa 80 phone center, diffusi soprattutto nel centro e nel ponente, ben 22, pari a più del 25%, sono concentrati nella zona di Pré e Maddalena, via del Campo, S. Marcellino, piazza Cernaia e Sottoripa). I phone center sono spesso oggetto di scontro tra maggioranza e opposizione in Consiglio comunale perché non forniscono solo servizi telefonici agli stranieri, ad ogni ora del giorno e della notte, con relativo disturbo del sonno dei residenti, ma hanno anche facoltà di utilizzare i propri sistemi informatici per il trasferimento di denaro alle famiglie degli immigrati nel paese d'origine, con il rischio che i movimenti finanziari non siano sempre legali. E, in alcuni phone center, sono in vendita anche generi alimentari ed alcolici nelle ore notturne.
«Siamo in attesa dell'approvazione in Regione del testo unico sul commercio, atteso per fine giugno o inizio settembre - spiega Matteo Rezzoagli, direttore Ancestor (Associazione Nazionale Centri Storici) di Confesercenti - che dovrebbe garantire pari diritti e doveri, sia agli operatori genovesi, sia agli stranieri che vogliono aprire un'attività. In questo modo, auspichiamo che i phone center saranno adeguatamente regolamentati, insieme con tutte le altre attività commerciali, sia a livello igienico-sanitario, sia per evitare che in futuro se ne aprano altri, uno accanto all'altro, impedendo la diversificazione dell'offerta commerciale. Inoltre, il prodotto made in Italy, in particolare scarpe, settore del tessile e abbigliamento, deve essere tutelato perché soggetto ad una fortissima concorrenza straniera. Noi non ci opponiamo al libero mercato, quindi non escludiamo affatto gli operatori commerciali immigrati, ma è necessario bloccare la diffusione di contraffazioni di prodotti italiani che danneggiano i commercianti, generano sfiducia nel consumatore e provocano uno scadimento della qualità dei prodotti. Per quanto riguarda Confesercenti, possiamo dire che, in media, ogni 1000 operatori il 5% circa segnala ogni anno la presenza di marchi contraffatti e noi informiamo le forze dell'ordine, che ringraziamo per le loro operazioni di contrasto al fenomeno».
Che l'immigrazione modifichi gradualmente il panorama economico genovese è un fatto accertato. Secondo i dati del 2005 dell'Unione delle camere di commercio, su 85.900 imprese registrate in Provincia di Genova, ben 6.645 sono gestite da un imprenditore extracomunitario. L'attività preferita è il commercio al dettaglio (2.112) seguita a distanza dalle costruzioni (1.311). Il primo posto nelle attività commerciali, spetta ai cittadini africani con oltre 1.300 presenze, ma sono in crescita le imprese cinesi, dai ristoranti ai negozi di oggettistica e pelletteria, che sono già 251, e che superano nettamente le 193 latinoamericane e le 74 gestite da europei. Inoltre, su 437 attività di ristorazione, gestite da imprenditori stranieri, 80 sono cinesi, pari a circa il 20% del totale, che contendono il primato ai locali tipici africani (101) e del Sud America (116). Le imprese cinesi sono presenti non solo nel centro storico, ma anche alla Foce, Brignole, e in molte zone del Ponente, specie tra Cornigliano, Certosa, Sestri, Pegli e Prà. Secondo i dati statistici del Comune, l'operazione di regolarizzazione anagrafica degli stranieri, stabilita dalla legge Bossi-Fini, si sta esaurendo. Di conseguenza, gli stranieri provenienti dall'Asia, e regolarizzati l'anno scorso, sono stati solo 312, rispetto ai 567 del 2004.
Ma tra i paesi extraeuropei, gli immigrati asiatici occupano, in ogni caso, il secondo posto della classifica, a pari merito dei cittadini nordafricani, e cedono lo scettro degli arrivi solo ai latinoamericani (1474 nel 2005). In ogni caso, Genova avrà caratteristiche multietniche sempre più marcate. «Una decina d'anni fa, la fetta di mercato genovese gestita da stranieri fa era solo l'1% del totale - riprende Matteo Rezzoagli - oggi la presenza di immigrati in regola, e attivi nel commercio, è già del 5%. Non possiamo escludere che le imprese avviate da persone provenienti da altri paesi raggiungano il 10% nei prossimi anni.

Quindi, si deve puntare su una serie di iniziative (vedere pezzo a fianco) che integri sempre meglio gli immigrati onesti, in collaborazione con gli operatori genovesi, espellendo chi delinque, così come va perseguito l'italiano disonesto. È l'unico modo, secondo noi, per rilanciare il settore, diversificare l'offerta commerciale con regolamenti chiari e per mantenere un rapporto di fiducia con la clientela, anche nell'era della globalizzazione».

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