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L’anima sacra di Ines Sastre sedotta dal Cantico dei cantici

L’attrice di Valladolid, la stessa città di Torquemada e Zapatero, racconta il suo rapporto con la religione. "Dopo Wojtyla va bene un teologo come Ratzinger. Mi piace il rito antico del vecchio arcivescovo di Parigi, Lustiger"

L’anima sacra di Ines Sastre
sedotta dal Cantico dei cantici

Inés Sastre è nata a Valladolid, la città di Torquemada e di Zapatero, il grande inquisitore e il grande nichilista. Il primo era un frate domenicano che spingeva l'uomo verso Dio e il secondo è un politico socialista che lo spinge verso la scimmia, in senso non solo metaforico: i suoi colleghi di partito hanno proposto una legge per garantire i diritti umani (umani, avete letto bene) alle grandi scimmie come gorilla, oranghi, scimpanzé. Da una parte la Spagna eterna che ha riempito di se stessa, della sua lingua, della sua arte e della sua religione interi continenti, dall'altra la post-Spagna in crollo demografico, che però esporta ancora qualcosa: Pedro Almodóvar e Miguel Bosè.
L'icona di Almodóvar è Penelope Cruz, finta bella miracolata dal trucco, dal parrucco e dal ritocco, mentre Inés Sastre, una meraviglia naturale, potrebbe essere la musa di un nuovo Velazquez e se Cervantes tornasse a nascere la parte di Dulcinea del Toboso non gliela toglierebbe nessuno. Siccome l'autore del Don Chisciotte tarda a ricomparire, Inés ha portato il suo splendore nei film di Saura, Antonioni, Avati e sul piccolo schermo italiano si è specializzata nel compensare lo scarso fascino di conduttori maschi quali Fabio Fazio (Festival di Sanremo 2000) e Bruno Vespa (il prossimo 1° settembre per la serata finale del premio Campiello). Di aristocratica, borbonica famiglia a cui deve un'educazione cosmopolita, ha case in mezza Europa (in Italia, in Spagna, a Parigi, a Londra...) e ovviamente conosce un mucchio di lingue: una gran fortuna specie nel presente caso in cui l'intervistatore, patriotticamente e per nulla europeisticamente, parla solo l'italiano. Altrettanto ovvio che sia donna di fede, altrimenti sarebbero bastate le foto mentre stavolta contano soprattutto le parole.
Fra i due illustri personaggi della tua città natale chi preferisci, Torquemada o Zapatero?
«Non mi piace parlare in pubblico delle mie idee politiche, preferisco tenerle per me».
È già una risposta, un attore spagnolo che non elogia Zapatero è raro come un attore italiano che non elogia Veltroni. E allora parliamo non di Zapatero ma di uno zapateriano, Miguel Bosè, che ha chiesto l'abolizione della corrida.
«Sono a favore delle feste popolari e la corrida è un rito molto legato alla cultura spagnola. Io non sono una grandissima fan dei toreri ma accetto le tradizioni: c'è tanta gente a cui piace, perché la dovremmo abolire? Ci si scandalizza per delle sciocchezze e poi si pratica il cinismo su cose molto più importanti».
«Scannano uomini, baciano vitelli» ha detto un profeta dell'Antico Testamento per metterci in guardia dagli animalisti di ogni tempo. Tu hai letto la Bibbia?
«Sì, anche all'università. Mi sono laureata in lettere alla Sorbonne e anche se l'educazione francese è molto laica uno dei testi principali era le Poème des Poèmes».
Ovvero?
«Il Cantico dos Canticos, molto erotico, molto sexy».
Ah sì, il Cantico dei Cantici. Ma il catechismo non l'avrai fatto alla Sorbona.
«Certo che no. Ho studiato dalle suore francesi a Madrid e ne ho un bellissimo ricordo. C'è l'idea che la religione costituisca un freno mentre nel mio caso è stata una spinta. Sono state le suore a farmi partecipare al mio primo film, El Dorado di Carlos Saura, anche se avevo solo 13 anni e si doveva girare in Costa Rica».
Credevo fosse stato girato in Amazzonia, mi ricordo un grande fiume in mezzo alla giungla.
«No, venne girato in Costa Rica ma ti assicuro che la zona era abbastanza selvaggia. E anche laggiù c'erano delle suore francesi».
Anche tuo figlio Diego avrà un'educazione religiosa?
«Assolutamente sì, a febbraio è stato battezzato e vorrei che avesse la stessa educazione che ho avuto io. Per me, che nella vita ho sempre girato molto, è stato importante avere questo punto fermo, sapere in ogni momento dove sta il bene e dove sta il male».
Diego è un nome di famiglia?
«No, il nome di mio padre è Eduardo. Ho scelto Diego perché è semplice, spagnolo e facile da pronunciare».
Quali chiese frequenti?
«A Parigi vado a Saint-Germain-des-Prés, a Londra al Brompton Oratory, la chiesa dove mi sono sposata».
Mi sono informato, è una chiesa cinematografica (anche Hitchcock si è sposato lì) e reazionaria, dove non hanno mai smesso di celebrare la messa in latino e per questo è frequentata dai giovani tradizionalisti del movimento Juventutem.
«Sì, la messa è molto bella. Ma anche a Parigi le messe sono ben preparate e questo si deve al vecchio arcivescovo, monsignor Lustiger. A me piace molto il rito, se non fossi cattolica sarei ortodossa perché loro ci danno grande importanza. Mi piace cantare, amo la musica sacra, i gesti, le candele».
Le candele di cera o quelle elettriche?
«Le candele elettriche mi mettono una tristezza pazzesca. Io uso sempre quelle di cera, anche in casa. Le compro nei negozi di articoli religiosi perché lì sono di migliore qualità».
In quei negozi vendono anche crocefissi, santini, rosari... Hai qualche oggetto di questo tipo?
«In casa mi piace avere sempre l'ulivo, quello preso la domenica delle Palme. L'ho messo anche nella camera del bambino».
A quale figura religiosa sei più legata: Gesù? La Madonna? Uno dei tanti santi spagnoli?
«Io adoro la Madonna. La Madonna è divina. La Madonna è madre».
Hai una Madonna preferita? La Macarena? Maria del Pilar?
«Mi piacciono tutte, specie adesso che anch'io sono diventata mamma».
Tu hai lavorato con grandi registi italiani e spagnoli ma non sei mai stata chiamata da Almodóvar: è solo un caso?
«Non è vero, una volta mi ha chiamato per una parte in Habla con ella, in italiano Parla con lei, ma ho rifiutato. Il ruolo non mi andava e al mio posto ha preso Paz Vega. È stata una decisione difficile ma io voglio fare solo i ruoli che mi piacciono».
Invece non hai rifiutato la parte della protagonista femminile in The lost city, il film anticastrista di Andy Garcia.
«Lo hai visto?».
No.
«Guardalo, ti piacerà senz'altro».
Non ne dubito, in Italia è difficile vedere qualcosa su Castro e Che Guevara che non sia una beatificazione dei due soggetti. Che cosa pensi di questo Papa?
«Mi piace, dopo un personaggio molto attrattivo come Wojtyla va bene un teologo come Ratzinger. Serve una figura centrale che dia delle norme. Trovo logico e necessario che la Chiesa dia delle indicazioni, dei modelli di comportamento, anche se poi nella vita di tutti i giorni ognuno di noi fa quello che può».
Secondo te, appunto nella vita di tutti i giorni, da che cosa si dovrebbe riconoscere un cattolico?
«Dalla tolleranza, dalla generosità. E non sei un buon cattolico se parli male degli altri».
Abbiamo detto le virtù che bisognerebbe possedere, adesso dimmi i vizi che non vorresti avere.
«Questo si racconta al prete non al giornalista, bello!».
Grazie per il bello. E quindi credi nel sacramento della confessione?
«È una grande terapia, migliore della psicanalisi.

Insegna l'umiltà che è sempre utile e dopo che ti sei confessato viaggi più libero».

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