L’Anm sul piede di guerra

RomaUna manovra «ingiusta e punitiva», che taglia gli stipendi mirando a «un’ulteriore destrutturazione» della giustizia. Si sentono vittime, i magistrati di ogni ordine e grado, «pizzicati» dalle misure di Tremonti direttamente nel portafogli. Scendono sul piede di guerra e proclamano il primo sciopero da cinque anni a questa parte, la cui data verrà decisa domani assieme ad altre azioni di lotta.
Le motivazioni sono prevalentemente di categoria, tanto da far esultare la componente di Magistratura indipendente (area centrodestra): «Finalmente il nostro sindacato s’è svegliato, e ha cominciato a fare il sindacato», commenta il togato del Csm Cosimo Maria Ferri. La decisione dello sciopero, presa dalla giunta dell’Anm e dal Comitato intermagistrature, non ha mancato di suscitare polemiche nel mondo politico. E se il leader dell’Idv, Tonino Di Pietro, si precipita come paladino degli ex colleghi, «che hanno diritto a non essere criminalizzati fino al punto di togliere loro una parte considerevole dello stipendio, umiliandone ruolo e funzioni», il capo dei deputati del Pdl, Fabrizio Cicchitto, sostiene che «lo sciopero proclamato dall’Anm conferma che ci troviamo di fronte a un’associazione che fa politica in modo continuo e organico». Al responsabile della Consulta Giustizia del Pdl, Luigi Vitali, invece non sfugge la «novità». «Almeno, questa volta, ci sono non solo motivazioni squisitamente politiche ma anche sindacali, in quanto si contesta una norma che ha effetti economici sulla categoria. Però i sacrifici li devono fare tutti». Sferzante, al riguardo, l’ex guardasigilli leghista Roberto Castelli: «È un po’ triste che la magistratura italiana, che vede emolumenti al vertice dell’Unione europea, scenda in sciopero perché non accetta di partecipare ai sacrifici che vengono richiesti a tutti. Almeno contro di me scioperarono con la Costituzione in mano... Adesso cosa faranno, infuocate assemblee sventolando le bollette della luce?».
La questione degli stipendi, in effetti, è quella che fa salire a quaranta la febbre nella categoria. I magistrati negano di volersi «sottrarre al loro dovere di cittadini e contribuenti». Ma, dicono, «devono denunciare che le misure approvate dal governo sono ingiustamente punitive nei loro confronti e di tutto il settore pubblico: è inaccettabile essere considerati non una risorsa, ma un costo o addirittura uno spreco per la giustizia». L’Anm non lesina critiche alla filosofia di una manovra che colpisce gli statali ma non «gli evasori fiscali (già beneficiati da numerosi condoni), i patrimoni illeciti, le grandi rendite e le ricchezze del settore privato, paralizza l’intero sistema giudiziario e scredita e mortifica il personale amministrativo, svilisce la dignità della funzione giudiziaria e mina l’indipendenza e l’autonomia della magistratura».
I più colpiti, denuncia l’Anm, sono soprattutto i magistrati nella prima fase della carriera, «che subiscono una riduzione dello stipendio fino al 30 per cento», cosa che non mancherà di «allontanare i giovani dalla magistratura». Secondo l’esempio del sindacato, «un pubblico dipendente (magistrato o altro funzionario) con uno stipendio lordo di 150mila euro subirà un taglio di stipendio di 3mila euro lordi l’anno (cioè il 2 per cento della retribuzione), mentre un magistrato di prima nomina con uno stipendio lordo di circa 40mila euro subirà tagli complessivi per circa 10mila euro lordi l’anno (circa il 25 per cento della retribuzione)». L’Anm lamenta di essere stata ignorata, quando ha avanzato più volte proposte per risparmiare. La soppressione dei piccoli Tribunali, delle sezioni distaccate di Tribunale e della metà degli uffici del giudice di pace consentirebbe di risparmiare, a regime, «decine di milioni di euro», dicono.

Un altro miliardo circa l’anno potrebbe venire dal «recupero delle pene pecuniarie e delle spese di giustizia», così come converrebbe sospendere i processi con imputati irreperibili, che «costano decine di milioni di euro solo per il pagamento delle spese di patrocinio».

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