L’ANNO DELLA FIDUCIA

Un certo pensiero, compiaciuto, e antimodernista vorrebbe celebrare con la fine di quest’anno, la fine di una generazione. Il collasso di un sistema. La rivincita della sobrietà sugli eccessi. Commerciando buoni sentimenti, si vuole gettare alle ortiche il secolo americano. Non si va per il sottile. Obama, tra pochi giorni effettivamente presidente a Washington, è un’icona perfetta. Nonostante la sua congenita appartenenza alle élite del suo Paese si è magnificamente trovato a rappresentare il vero spartiacque tra il secolo breve, terminato con un decennio di ritardo, e il «secolo sostenibile». Le guerre continueranno, ma saranno indispensabili. La crisi si farà sentire, ma le sue radici saranno nel passato. L’ambiente verrà ferito, ma con giudizio. Insomma rischiamo una grandissima e planetaria presa per i fondelli.
Più modestamente nell’anno che si chiude è venuta a mancare una spezia fondamentale per la nostra convivenza: la fiducia. Nel mondo ricco e occidentale è l’ingrediente intorno al quale si costruiscono i rapporti, essenzialmente, di scambio e dunque di convivenza. Dall’inizio degli anni ’80 abbiamo vissuto in uno straordinario sogno in cui l’economia è cresciuta senza sosta. Ha fatto due piccoli stop (di pochi mesi) nel 1990 e nel 2001. Ma è sempre andata inesorabilmente avanti, creando posti di lavoro, ricchezza diffusa, tecnologia. Si è accumulata così una «bolla di fiducia». Le banche sono arrivate a prestare 30 volte ciò che avevano in cassa. I cittadini americani hanno utilizzato le proprie case come dei bancomat. In Europa la certezza che il domani sarà migliore dell’oggi, invece dei privati, ha contagiato i governi: che hanno speso ciò che non avevano.
Ci siamo fermati. Il crac di Maddoff che ha fatto fuori 50 miliardi raccolti in giro per il mondo sulla parola, rappresenta la plastica raffigurazione della fine di un ciclo.
Ma occorre ripartire proprio riscoprendo la pietanza fondamentale della nostra convivenza occidentale: la fiducia appunto. Non si devono spazzare via le macerie di una guerra. Si deve riprendere a pensare che produrre, consumare e investire sono gli attrezzi fondamentali del nostro progresso. Non si sottovalutino i danni collaterali di questa crisi. Ma non si alimenti la paura. Non si rincorra quel pensiero folle che cerca nelle braccia di soggetti collettivi la rapida e indolore medicina alle nostre incertezze.


La creazione di ricchezza, di lavoro, di idee è una sfida individuale, ma che ha bisogno massimo di collaborazione, di interazione, di scambio. In poche parole: di fiducia.
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