Addio sinistra, resta lestremismo. Lo stiamo raccontando da mesi, ma in queste ore lo si è visto raffigurato pubblicamente, a Torino, dal corteo Cgil al Salone del Libro, come in una duplice e drammatica installazione di arte politica contemporanea: la crisi irreversibile del Pd lascia il posto alle forze brute della caciara, agli agitatori di rissa, ai propalatori di violenza verbale e, in alcuni casi, anche fisica. La si potrebbe chiamare tendenza Santoro. La piazza che si trasforma in ghigliottina, londa emotiva di un odio che diventa sempre più settario e perciò sempre più cupo, luso delle parole come armi di scontro e non di confronto: ecco quello che sta fiorendo sulle macerie della sinistra.
È significativo che tutto ciò parta da Torino. Torino è la culla dei fermenti della sinistra, davanti ai cancelli della Fiat è passata la storia sociale di questo Paese. Ora a Torino sono successe, contemporaneamente, due cose importanti: da una parte i violenti del sindacato hanno impedito a un delegato Fiom (si badi bene: Fiom, cioè lala più radicale della Cgil) di parlare; dallaltra parte il Salone del Libro si è trasformato in una specie di Di Pietro pride, la manifestazione dellorgoglio Tonino, con Travaglio superstar a insolentire chiunque, dal presidente della Repubblica in giù, e la corte delle tricoteuses girotondine ad applaudire.
Che nesso cè fra i due avvenimenti? Semplice: entrambi sono determinati dalla inarrestabile crisi della sinistra democratica. Essa, infatti, negli ultimi tempi ha perso definitivamente il controllo della piazza e della cultura, del sindacato e del pensiero, del mondo operaio e del mondo intellettuale. E così lascia spazio alle frange estreme, agli urlatori di professione, ai presunti immacolati, alla casta dei robespierre che non hanno alcun progetto politico, se non la distruzione dell'avversario.
Prendiamo le fabbriche. Lo smottamento della sinistra è evidente. Gli operai non trovano più un riferimento in quel sistema di potere che ha arricchito nel corso degli anni solo il sindacato (con metodi spesso discutibili, di cui oggi vi diamo unaltra ampia dimostrazione). Non è un caso se, come rivela lOcse, gli italiani oggi guadagnano il 17 per cento in meno rispetto ai loro colleghi degli altri Paesi, mentre le casse confederali continuano ad essere rigogliose. Risultato? I sondaggi confermano: la maggioranza delle tute blu sceglie il centrodestra. E gli altri? È evidente che molti non si sentono più rappresentanti da nessuno. Ed ecco il rischio di lasciare via libera ai cani sciolti, agli irriducibili della violenza, ai cobas dello sfasciotutto che si sentono in «guerra» contro l«involuzione autoritaria dello Stato capitalista» (parole loro).
E il mondo della cultura? La situazione non è molto diversa. Fino a qualche tempo fa gli intellettuali si schieravano in massa con il Pd. Non cera salotto chic che non esibisse il fiore allocchiello della propria adesione alla sinistra. Non cera scrittore che non si facesse timbrare il passe-partout dellIntelligentia dagli eredi del Bottegone. Adesso, invece, è tutta una corsa verso gli afrori di Tonino. Che cazzecca Di Pietro con la cultura? Niente. Eppure la passione per il trattorista di Montenero ha travolto le menti più snob, da Magris a Pressburger, e persino il Salone del Libro, seppur in versione un po vanity fair, si è trasformato nella passerella del dipietrismo, quasi a sancire questo strano matrimonio fra i cultori della Divina Commedia e quelli del diabolico commediante.
Voi capite la singolare circostanza. La sinistra sparisce insieme dalle stanze della cultura e da quelle del lavoro, dalle manifestazioni librarie e da quelle operaie. E leffetto è devastante. Tutti sinterrogano in queste settimane sullesito del voto. Ma il vero problema è lesito del vuoto. Il nulla democratico lascia infatti campo aperto al santorismo, alle piazze incontrollate, ai fomentatori di risse verbali e non. Le frange estreme non hanno più punti di riferimento (e di contenimento) e per questo si scatenano nella violenza dei toni o dei Tonini dipietreschi. E questo è il pericolo cui stiamo andando incontro.
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