L’antisocialista D’Alema

Massimo D’Alema davvero non ce la fa a definirsi socialista. È cresciuto comunista, è stato eurodeputato del Partito socialista europeo, accompagnò nel 1991 Achille Occhetto da Bettino Craxi per ottenere il via libera all’ingresso del vecchio Pci nell’Internazionale socialista, ma a definirsi tale proprio non ce la fa. Come è vero che ciascuno sarà domani quello che è stato ieri. E, per non abiurare pubblicamente il credo socialista, D’Alema conia un’espressione di stampo democristiano. Dobbiamo andare oltre il socialismo, ha detto dinanzi all’assemblea dei segretari di sezione del suo partito. Cosa significhi, nessuno lo sa. E forse neanche lui. Andare oltre è solo un modo generico per prendere tempo nel migliore dei casi, e nel peggiore per organizzare il potere senza una cultura politica di riferimento. D’Alema è un professionista della politica e non può ritenere di farci credere che la sinistra italiana sia l’unica in Europa ad aver scoperto una nuova frontiera che con il socialismo ha molto poco a che fare. Davvero pensa di poter trasformare la sinistra italiana in un partito americano trasferendole il bagaglio culturale e politico dei democratici americani che da sempre sono allergici a qualunque odore di socialismo? Possiamo capire che un dirigente comunista con il crollo del mondo in cui aveva creduto sia oggi allo sbando e rifiuti tutto intero il bagaglio culturale e politico del socialismo nazionale ed internazionale.
Ma allora bisogna parlare chiaro. Non si può dire semplicemente che bisogna andare oltre il socialismo. Ciò che si dovrebbe teorizzare è che con la fine del comunismo anche il socialismo democratico di stampo europeo ha perso il suo valore e il suo appeal verso le nuove generazioni e non ha più la forza di costruire il futuro.
Ma se questo è, allora, perché rifiutare di uscire dal Pse? E perché non entrare, caso mai, nei democratici e liberali europei dove già oggi sono la Margherita e i liberali inglesi? L’ambiguità di D’Alema ci ricorda una pratica antica del vecchio partito togliattiano, quella della doppia verità. La frase coniata, nella sua genericità si presta più facilmente a una lettura di potere piuttosto che a definire l’orizzonte di una nuova politica. Da tempo D’Alema è alla ricerca di legami con alcuni circoli finanziari e culturali democratici americani. La famosa terza via ricercata all’epoca della riunione a Firenze con Bill Clinton e Tony Blair non è stata mai trovata. Blair continua a chiamarsi laburista, così come la sinistra francese, quella spagnola, quella svedese e quella tedesca continuano a chiamarsi socialiste. Ed allora ecco la virata dell’altro giorno. Andiamo oltre il socialismo è solo un modo garbato per cancellare l’identità politica e mettersi al servizio di quel nuovo potere economico-finanziario del Paese che l’anno scorso ha bastonato di brutto l’Unipol e bacchettato i vertici dei Ds. Quel che sfugge al ministro degli Esteri, però, è che a quelle élite politico-finanziarie va molto meglio Romano Prodi che, per cultura e tradizione politica, dà maggiore affidamento.

E noi, che siamo sempre stati contro il Partito democratico, cominciamo a ricrederci, perché la sua nascita spazzerà via per sempre quell’idea socialista che in Italia non ha mai avuto troppa fortuna. E a seppellirla definitivamente saranno proprio quelli che volevano diventare i suoi eredi.

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