L’appello del Cavaliere: "Accoglieremo tutti Adesso aspettiamo l’Udc"

Il leader Pdl avverte Casini: di federazione non se ne parla, molti del suo partito vogliono stare con noi. Il mio programma in dieci punti

L’appello del Cavaliere: "Accoglieremo tutti Adesso aspettiamo l’Udc"

Roma - All’ora del caffè, la conferma ufficiale, dopo le anticipazioni dei giornali: nasce il Popolo della libertà. Silvio Berlusconi lo fa ai microfoni di Panorama del giorno su Canale 5: Forza Italia e An in un unico partito, «pronto ad accogliere tutti» (hanno già aderito pensionati, i liberaldemocratici di Dini, la Nuova Dc).
All’ora dell’aperitivo, scatta lo slogan elettorale: «rialzati Italia, messa in ginocchio dal governo delle sinistre». Ma non solo. Anche un rude invito a Pierferdinando Casini a decidersi se entrare o no nel Popolo della libertà. «Diciamo calorosamente ed affettuosamente all’Udc: non esitate e venite con noi». Ma se ciò non dovesse avvenire - precisa il cavaliere - allora «nessuno potrà negare che siamo alleati, ma non nella stessa coalizione».
In altre parole: «possono presentarsi da soli, e poi in Parlamento potremmo naturalmente trovare un accordo per farli entrare nell’alleanza». Ma di federazione con il Pdl, come con la Lega, non se ne parla. L’Udc «non può fare come la Lega, che è un partito territoriale e che, come sul modello della Bavaria, si presenterà solo in certe Regioni».

E per far capire che fa sul serio, e che l’interlocutore è Casini, Berlusconi ricorda che dentro l’Udc «sono in difficoltà perché hanno opinioni diverse. La volontà dei loro elettori, ma anche dei parlamentari, è aderire al nuovo progetto. Ho sentito diversi parlamentari che mi hanno detto che vogliono stare insieme a noi».
Il primo a uscire dall’Udc per confluire nel Popolo della libertà è stato Carlo Giovanardi, già ministro dei rapporti con il Parlamento nel governo Berlusconi. E altri potrebbero seguire, fa capire il Cavaliere.
Ma come «rialzare» l’Italia? L’ex presidente del Consiglio tratteggia la strategia nel colloquio telefonico all’ora del caffè su Canale 5 con Maurizio Belpietro. Un programma elettorale che conterà «su una decina» di punti e che toccherà tutti i settori «per rimediare sia alle inefficienze strutturali dell’Italia sia ai danni combinati da questo governo nei suoi diciotto mesi di attività».

Quello del Pdl, però, sarà un programma che parte «dal basso». Così, Berlusconi spiega che «continueremo con i gazebo per sottoporre ai cittadini la scelta delle priorità del programma. E sulla base di queste risposte - aggiunge - presenteremo un programma fatto di punti essenziali». Il Cavaliere, poi, conferma l’idea di predisporre fin d’ora disegni di legge ad hoc. «E diremo anche quanti ne approveremo al primo consiglio dei ministri, quanti al secondo consigli dei ministri e così via via per i primi cento giorni».

A conferma di come l’ex presidente del Consiglio si veda già proiettato oltre il 14 aprile conferma che è sua intenzione presentare un governo snello. «C’è una legge che dice che ci dovranno essere 12 ministri e noi la rispetteremo». E assicura che i componenti del nuovo governo «saranno in 60» fra ministri, vice ministri e sottosegretari.

Ai microfoni di «Panorama del giorno», poi, Berlusconi si toglie qualche sassolino dalle scarpe. «Come sempre avevo ragione io», dice ricordando le tappe che hanno portato alla caduta del governo Prodi. «Non c’è stata la spallata - precisa - che è un termine dei media e non mio. La sinistra ha perso la maggioranza per implosione interna su un tema importante come la giustizia. E tutti ricordano - aggiunge l’ex premier - come venni trattato, non solo dai grandi giornali, quando dicevo che la sinistra sarebbe implosa e che si sarebbe votato ad aprile».

Il prossimo governo, sottolinea Berlusconi, dovrà lavorare per ricostruire «l’immagine dell’Italia che è stata mondialmente distrutta» dal governo Prodi. Secondo il Cavaliere, ha provocato «danni incalcolabili al nostro Paese e ha lasciato l’Italia e gli italiani più poveri e più insicuri».

Infine, una battuta anche

sulla scelta di Veltroni di far «correre» il Partito democratico da solo. «Non è un atto di coraggio», osserva Berlusconi. Ma una scelta «dettata dalla necessità» di liberarsi «dall’abbraccio mortale con l’estrema sinistra».

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