Presumo che il sindaco Alemanno non leggerà questo articolo così come non ha letto quelli in cui io riconoscevo il suo merito per avere revocato lautorizzazione per gli inutili parcheggi al Pincio. Egli sa bene del mio disappunto per non avere potuto in alcun modo contribuire a un rinnovamento della vita culturale a Roma, dopo aver partecipato alla sua campagna elettorale proprio per evidenziare gli errori della precedente amministrazione. Il più clamoroso dei quali, come tutti sanno, è la realizzazione della nuova teca per lAra Pacis, ostinatamente voluta da Rutelli e realizzata nellera Veltroni, con il mio disperato tentativo di impedirlo e di preservare la semplice e misurata teca di Vittorio Ballio Morpurgo. Il garage multipiano o la stazione di benzina, nelle diverse e impietose letture, fino allindignazione di tutti gli architetti sensibili, persino Fuksas, e di artisti come Julian Schnabel (il quale presentando la sua mostra a Roma, paragonò la nuova teca a un condizionatore daria) o gli storici dellarte come Federico Zeri e Lionello Puppi, è una clamorosa dimostrazione dellarroganza del potere che si celebra, attraverso un architetto americano, nellassoluta indifferenza per il decoro della città e con larbitrio che a nessun privato sarebbe consentito.
Lo Stato si danneggia con opere inutili e mostruose. Questo era ben chiaro ad Alemanno, e non mancammo di proclamarlo annunciando un intervento riparatore. Dopo la vittoria Alemanno mostrò qualche imbarazzo. Rivelò una incertezza imprevista ascoltando le voci di cattivi consiglieri e concludendo che lintervento sulla teca dellAra Pacis non era una priorità. Non so come, dopo quelle fastidiose perplessità, Alemanno deve aver ritrovato qualche intelligente consigliere o deve aver meditato sullincoerenza del suo comportamento. Certo io non sono stato tenero e non ho risparmiato in ogni occasione le mie critiche più severe. E non per ragioni di principio, ma perché ogni volta che passo davanti allAra Pacis (o di dietro) vedo lorrore di una soluzione irrispettosa, invadente e perfino beffarda con quella fontanella dietro un muro che copre le facciate di due mirabili e armoniose chiese. Quante volte ho reclamato che almeno quellinfame muretto fosse abbattuto per restituire la visione delle due chiese, non potendo sperare in un abbattimento dellintera struttura che resta comunque umiliante per la città e per il monumento.
Oggi leggo con stupore che larchitetto, Richard Meier ha commentato manifestando un ipocrita entusiasmo: «Idea superba: eliminare il muro permette di godere della chiesa di San Rocco e dellAra Pacis. Avrei voluto presentarlo io un progetto così, ma non sapevo che il traffico poteva essere canalizzato sotto». Sotto, cera il porto di Ripetta e alcune ipotesi ricostruttive (come quella dellarchitetto Paolo Marconi) indicavano la possibilità di ripristinarlo. Ma il pensiero non ha neppure sfiorato Meier il quale, secondo Zeri (e lo ha dimostrato) conosceva Roma come lui conosceva il Tibet (dove non era mai stato) e in questa incoscienza e insipienza ha edificato una struttura otto volte più grande del monumento che doveva ricoprire. Linfame muretto è uninvenzione cui non era disponibile a rinunciare, quando poteva evitare gli realizzarla. Posso ben dirlo io che nel marzo del 2002, al culmine dei miei tentativi di scongiurarne linfame progetto, andai a trovarlo nel suo studio a New York, e gli proposi, in modo conciliante (ma non tanto da non meritare la sua ira e la sua esecrazione) di ridurre il volume della teca, di evitare auditorium e altri annessi e di eliminare soprattutto lincomprensibile muretto che non ha alcun rapporto con il traffico, essendo arretrato rispetto al marciapiede. Non si sa dunque di cosa parla Meier se non per trovare una via duscita a un compromesso impostogli dalla pubblica amministrazione per evitare di agire contro la sua volontà. Come sarebbe stato comunque giusto. Così di fronte a una proposta, pur modesta, ma parzialmente riparatrice, ha espresso il suo consenso.
È stata una pagina triste per Roma e per la tutela dei monumenti e del centro storico più importante del mondo. Ora il segnale di Alemanno ha un valore simbolico ed è un monito a non intervenire più con inutili esaltazioni della libidine di architetti che devono esibirsi in aree urbane già definite nel palinsesto della storia, per poter mostrare il loro talento. Che, spesso, non cè. Voglio sperare, anche con la vigilanza del ministro dei Beni culturali che questa triste e fallimentare esperienza sia di esempio per non ripeterla nellaltro luogo dellItalia delle meraviglie assediato da un archistar: gli Uffizi con la minacciata pensilina di Arata Isozaki, una gigantesca rete da materasso nel centro storico di Firenze a cento metri dalle Logge del Vasari. Ci si avvia al centenario della nascita del grande architetto e scrittore: nessuna offesa sarebbe più grande di affiancare alle sue armoniose «logge» (nobile parola) lorrida «pensilina» (parola adatta a indicare la fermata di un autobus). Ma sarebbe questa differenza a motivare un diniego che lintelligenza dei sindaci sembra garantire più del dovere dei sovrintendenti.
LAra Pacis libera dal muro dellorrore
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