L’Arabia Saudita abbatte un tabù: due donne elette rappresentanti

Storico voto alla Camera di commercio e Industria di Jeddah

Roberto Fabbri

In Arabia Saudita, Paese in cui al sesso femminile non è ancora consentito votare né guidare un’auto, è accaduto qualcosa che, nel suo piccolo, è rivoluzionario: due donne sono state elette nel consiglio di amministrazione della Camera del Commercio e dell’Industria di Jeddah. La città sul Mar Rosso è il principale centro delle attività imprenditoriali saudite, e ha fama di maggior apertura di costumi rispetto alla capitale Riad, per non parlare di centri religiosi come La Mecca e Medina. L’anno scorso a Jeddah, durante un congresso degli imprenditori, aveva fatto scandalo l’iniziativa di un’iscritta che, salita sul palco, si era tolta con fare deciso il velo e aveva parlato per un’ora ignorando gli sguardi critici di parte dell’uditorio.
In passato le donne d’affari saudite non potevano candidarsi, ma avevano diritto di partecipare all’elezione della rappresentanza del consiglio: dovevano però affidare le loro schede a un collega uomo, il quale le inseriva poi nelle urne in loro vece. Ma lo scorso finesettimana a Jeddah è andata diversamente. Ventunomila aventi diritto, 2800 dei quali donne, si sono recati alle urne per eleggere 12 rappresentanti (sei sono nominati per legge dalle autorità) tra 71 candidati, di cui 17 donne. Le donne hanno votato il sabato, gli uomini la domenica: la promiscuità tra i due sessi rimane un tabù rigidissimo in Arabia Saudita. Sono stati eletti dieci uomini, ma anche due signore imprenditrici, Lama al-Suleiman e Nashwa Taher.
La notizia di Jeddah segue di pochissimo quella di un altro storico passo avanti per le donne saudite. La delegazione della società nazionale dei diritti umani del regno wahabita che si è recata in Danimarca per avviare «nonostante ampie differenze culturali» contatti con i colleghi danesi è guidata da una donna, la dottoressa Lubana al-Ansari.
Un altro significativo episodio di apertura è l’iscrizione di ottanta allieve a un corso della durata di due anni per il diploma di infermiere. È abbastanza impressionante notare che solo un infermiere su cento in Arabia Saudita è donna.
La società saudita fa dunque passi avanti, ma molta strada resta da fare. Letteralmente. Di recente l’anziano re Abdallah ha detto, sorprendendo molti, che «prima o poi le donne saudite dovranno pur poter guidare l’auto». Negli ambienti religiosi l’iniziativa non è piaciuta. Quasi duecento ulema hanno firmato una petizione pubblicata su un sito internet definito «moderato» nella quale si spiegano in 15 punti le ragioni per cui si oppongono «a un’influenza occidentale che vuole capovolgere la società islamica sotto le mentite spoglie di ciò che chiamano liberazione della donna».

Guidare l’auto non va bene perché determinerà «un’eccessiva tendenza delle donne a lasciare la casa» e porterà «a toglier loro il velo con la scusa della sicurezza stradale». Per non dire della «terribile prospettiva di donne fermate per una contravvenzione che si troveranno appartate e sole con un uomo».

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