Politica

L’archistar dell’incoerenza che fa il moralizzatore con il cemento degli altri

La coerenza è come l’argilla. Fuksas conosce la seconda meglio della prima. Perché è l’intellettuale dell’urlo, l’architetto del contro, il maestro della pulizia stilistica, l’esteta di chissacosa che poi però viene beccato col sospetto di un abuso edilizio personale e personalizzato e si giustifica così: «Al massimo ci saranno dei muretti non a norma». Quello che è suo, quindi, va bene. Abbattete le brutture legali, non le bellezze abusive. Perché gli altri fanno schifezze anche se hanno i documenti a norma, mentre lui fa gioielli anche senza concessioni. Che poi è bella la sua villa di Pantelleria. Di più: bellissima. Il problema è la regola, non il risultato. Invece no. Coerente, no? Intellettuale, giusto? Democratico, ovviamente. Tira una riga per il futuro: suo di sicuro, degli altri si vedrà.
Fuksas è l’arroganza di un tratto, la presunzione di una tenuta nera di circostanza, sempre identica. Minimalista nel look per interpretare l’essenzialità della sua architettura: quella che gli fa dire di voler abbattere qualunque cosa abbiano fatto i suoi colleghi e di valorizzare tutto quello che porta la sua firma. Così, fiero, orgoglioso e vagamente tronfio odia il cemento degli altri e inaugura neanche fosse un Colosseo moderno una immensa colata di calcestruzzo armato con la forma di un cubo: 27 metri d’altezza che riempiono la bocca di critici, amici e amici degli amici pronti a omaggiare l’ultimo capolavoro del Maestro. Foligno e i suoi abitanti hanno scoperto che quella era una Chiesa leggendolo sul manifesto dei lavori. Perché la differenza con un capannone industriale è poca e a volte impercettibile. Un ecomostro, ovviamente però straordinariamente bello e futuribile, mica come quell’obbrobrio di Punta Perotti o dello Zen o di qualunque altra cosa non sia stata fatta da lui. Camillo Langone scrisse poco tempo fa che Fuksas s’era scatenato contro il piano casa del governo perché il cemento vuole usarlo tutto lui.
La battuta non fu apprezzata dal Maestro che non ama intromissioni nella sua creazione. Non le ha amate neanche quando sono arrivate dalle amministrazioni che quelle creazioni poi le avrebbero pagate. Litigò con un’amministrazione ligure che non aveva apprezzato il suo grattacielo multiforme sulla costa adriatica. Bisticciò e lo fa ancora con tutti quelli che contestano le sue Nuvole all’Eur di Roma. Gli altri non sono competenti per definizione. Anzi, è già un miracolo che lui e quelli della sua razza in questo Paese ci vivano ancora. «Gli italiani sono un popolo di ignoranti». Seconda persona plurale perché uno nato a Roma si chiama fuori senza pudore, forse con la scusa di avere origini baltiche. Fortunato lui che si sente straniero a casa, sfortunati noi che degli stranieri a casa nostra che vengono a fare i professori ci siamo un po’ stancati. A predicare bene e razzolare male siamo bravissimi e però loro sono più bravi di noi. Così Fuksas una volta raccontò questa teoria: «C’è troppa anarchia progettuale che non rispetta il contesto». Allora bisogna capire se una piscina accanto a una riserva naturale rispetta il contesto e soprattutto se lo fa un cubo di cemento piantato al centro di una terra architettonicamente medievale come l’Umbria. È tutto relativo, anche quando ci si illude di disegnare il mondo. Fuksas lo fa con arroganza, con saccenza, con uno spirito di superiorità umana e professionale che a volte ti fa chiedere se sia una persona vera o un personaggio costruito per farti incazzare. Santoro lo usa come chiavistello polemico durante alcune puntate di Annozero, lo stesso fanno i giornali di sinistra ai quali Fuksas strizza l’occhio perché ci vede una qualche affinità elettiva con la sua storia. E la sua cultura, ovviamente. Per esempio l’anti-capitalismo e l’odio per la frenesia dei consumi: Fuksas è nemico di soldi e acquisti, ma presenta progetti faraonici, milionari, a volte miliardari. Sul consumismo disse così: «Significa cedere tutto, anche i valori, pur di possedere e consumare». Ovviamente non si pone il problema più semplice: ha creato l’aeroporto cinese di Shenzhen. Bello, bellissimo, di più: solo che dentro ci passano un sacco di consumisti. Ha creato il centro ricerche della Ferrari, cioè dell’azienda che vive solo perché esiste chi spende centinaia di migliaia di euro per una macchina. Consumisti e consumismo, al quadrato.

Al cubo.

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