Roberto Bonizzi
A Innsbruck, anno di grazia 1976, il tempo era infame. Nevischio, pioggia, nebbia. Il meteo peggiore per uno sciatore. Lei, Claudia Giordani, ventenne incosciente ed emozionata, riuscì a conquistare un argento, una delle poche medaglie milanesi («Anche se io sono nata a Roma» chiarisce) che la storia delle Olimpiadi invernali ricordi.
«Di quel giorno mi torna in mente ogni dettaglio, chiaramente. Un giorno indimenticabile». Claudia, dal villaggio olimpico di Sestriere, dove oggi è responsabile della comunicazione con i media, inizia il racconto di quel giorno a Innsbruck e le emozioni rivivono. «Ero arrivata in Austria senza aspettative. Avevo ottenuto buoni risultati quellanno, ma era la mia prima Olimpiade, non cera pressione. Mentre a Lake Placid, quattro anni dopo, tutta la squadra italiana è stata condizionata da troppe tensioni». Giochi magici, quelli austriaci, per lo sci italiano. Il secondo posto nello slalom speciale femminile aveva fatto da apripista per la doppietta azzurra nella prova maschile tra i pali stretti: Piero Gros oro, Gustav Thoeni argento. «Eravamo arrivati a Innsbruck il giorno prima dello slalom - prosegue Claudia - giusto in tempo per lestrazione del pettorale. Per la prima volta in vita mia mi capitò il numero 1: quando me lo dissero mi prese un colpo».
Ma lincoscienza dei 20 anni a volte è meglio di una buona sciolina sotto le lamine. E la gara è tutta un fiato solo: «La pista era molto ripida, con la neve si erano formati dei grumi vicino ai pali, proprio sulle linee strette che ero abituata a fare. Senza prendere i paletti, allora erano tronchi di pino, non erano ancora di plastica. Dopo la prima manche ero quarta al traguardo». Quindi lepisodio che ha fatto storia. Al cancelletto di partenza della seconda prova cala la nebbia, umida e densa. La visibilità è compromessa. «Prima di prendere il via ho lasciato lì gli occhiali - racconta Claudia -. Il gesto fece scalpore allora, poi Pierino lo ripeté qualche giorno dopo e vinse lo slalom.
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