Cronaca locale

L’arte di abitare è di casa alla Triennale

In mostra fino al 24 luglio le costruzioni più rappresentative dagli anni ’30 agli anni ’50

Luciana Baldrighi

Con la riproposta per sezioni, la Triennale ha voluto approfondire il tema della «casa» in Italia riportando alla luce importanti e significative testimonianze che si sono sviluppate a partire dalle prime Esposizioni del 1927 e 1930 a Monza e quelle del 1933, 1936 e 1947 a Milano, ricostruendo attraverso una mostra a cura di Graziella Tonon e Graziella Leyla Ciagà gli interi progetti creati dagli architetti di allora divenuti poi di fama internazionale.
Nata come Mostra Internazionale delle Decorative nella sede della villa Reale di Monza nel 1923, la Triennale si affacciò al mondo della progettazione nel 1927 con la terza edizione della Biennale di Monza in cui esordì il noto «Gruppo 7», centro dell’avanguardia dell’allora futuro movimento razionalista. La IV edizione nel 1930 sancì ufficialmente il «riconoscimento dell’Architettura come arte “maggiore”, sviluppando in particolare il tema della “villa moderna” con trentasei progetti di alcuni dei principali rappresentanti dei vari schieramenti dell’architettura italiana, da Albini e Palanti a Griffini, Pagano, Bottoni, Ridolfi...». Stiamo parlando non solo di allestimenti di spazi interni, come ad esempio le sale della grafica di Muzio e Sironi o la sartoria moderna di Terragni, ma anche di costruzioni esterne edificate temporaneamente nel parco di Monza tra le quali passò alla storia la cosiddetta «casa elettrica» di Figini e Pollini.
Nella sede appositamente disegnata da Giovanni Muzio in via Alemagna 6 nel 1933 per il Palazzo dell’Arte, la Triennale incluse l’architettura nella sua stessa titolazione, celebrando così mostre specifiche e soprattutto architetture effimere edificate nel Parco Sempione, di cui unica superstite rimane la Torre Littoria, oggi Fernet Branca, ideata da Ponti e Chiodi.
La nuova linea era quella di porre al centro degli interessi della nuova società nascente il tema della «casa». Fu così che con la «Mostra dell’abitazione» fu la spettacolare versione italiana delle grandi expo razionaliste come il Weissenhof di Stoccarda (1927), dove gli architetti di punta dell’emergente architettura venivano invitati a produrre in scala reale prototipi della casa del XX secolo. Da qui le case popolari di Griffini e Bottoni, la casa in struttura d’acciaio di Pagano, Albini, Camus, Palanti, Mazzoleni, Minoletti; la casa di vacanza per artista del gruppo comasco di Terragni e la villa-studio di Figini e Pollini segnarono in particolare la novità della V Triennale e tutti insieme questi progetti diventarono al di là della loro effimera durata di una stagione i caposaldi per lo studio del razionalismo italiano.
«Le case della Triennale. Dal parco al QT8. Mostre e progetti sul tema dell’abitare» che durerà fino al 24 luglio, ripercorre le tappe significative dell’istituzione fino da quando si propose di prendere in esame l’architettura nell’ambito delle arti decorative fino a quelle industriali e urbanistiche. Anche la Triennale del 1936, come è ben visibile in questa rassegna accompagnata da un catalogo edito da Electa con la prefazione di Fulvio Irace, riprese la «Mostra dell’abitazione», improntandone sotto la direzione di Pagano lo sviluppo della dimensione sociale dell’abitare collettivo imposto dalle politiche urbane di trasformazione di Milano e degli altri capoluoghi. Nell’edizione del 1940, la VII Triennale, nonostante mostre sulla produzione di serie e sui criteri della casa «oggi», la correzione di rotta verteva sui temi della monumentalità istituzionale come dimostra con il plastico «E42» e i progetti di Piacentini.
Nel 1947, ossia nell’immediato dopoguerra, il tema dell’abitazione divenne centrale in base alla ricostruzione delle città e al diritto alla casa: Bottoni disse che il problema sociale era «il più reale, sentito, dramamtico, oggetto di speranza di milioni di europei». Da questa convinzione nacque una mostra con il progetto del quartiere QT8 per l’VIII Triennale.

La rassegna è stata resa possibile grazie ai prestiti degli archivi Albini, Bottoni, Pollini, Consonni, Iannuzzi, Terragni, Samassa, Prosser, Nicolodi, Mantero, Pettenella, Luppi e Istituto Luce.

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