Cronache

L’arte del candito che ferma il tempo

Quali sono i prodotti realmente tradizionali? E quanti, invece, quelli che si fregiano di certe caratteristiche solo per assecondare le mode? A Pasqua, nella giungla colorata del packaging e dei nomi accattivanti, riconoscere i prodotti concepiti secondo tradizione è un'impresa. Un «dolcissimo» esempio? Il candito: nato in Mesopotamia, diffuso dagli Arabi e portato in Europa dai Crociati, nella Superba raggiunge vette altissime, al punto che nel 1829 Nizza e Livorno, per attirare l'imprenditoria genovese, ne esentano la fabbricazione dai dazi, decretando il declino di una vera e propria âge d'or ligure.
Oggi il candito prodotto secondo le antiche ricette, è ancora di casa a Genova da Pietro Romanengo fu Stefano ma, spesso e volentieri, altrove non gode delle stesse attenzioni. Una Dop per il candito? «Sarebbe utile per distinguere un prodotto come il nostro - composto da frutta fresca matura, zucchero e nient'altro - da altri, ricchi di coloranti e conservanti» spiega Pietro Romanengo, testimone per eccellenza della fortunata tradizione dei confiseur-chocolatier d'oltralpe. I suoi antenati - attivi da metà '700 nel commercio di zucchero e coloniali - importano a Genova la cultura francese, aprendo un negozio di chiara ispirazione parigina nel cuore del centro storico, a Soziglia. Un luogo che mantiene intatto il proprio fascino, fra legni, marmi e le eleganti vetrine, che dal 1814 ammaliano i genovesi, alla ricerca dei prodotti siglati dalla colomba col ramoscello d'ulivo: conserve di frutta e fiori, fondants, confetti, cioccolato e, ovviamente, delicatissimi canditi.
Pietro Romanengo fu Stefano vanta nella sua storia - che è oggetto di studi e tesi di laurea - illustri habitué: dalla Duchessa di Galliera a quella di Parma, da Giuseppe Verdi al Principe Umberto. Le vicende della «bottega del centro storico», come ama definirla Pietro Romanengo, s'intrecciano con quelle della Superba: dal successo, nell'800, con esportazioni in tutto il mondo, alla progressiva chiusura dei laboratori artigianali nel '900, sotto il peso incalzante dell'industria.
Pietro Romanengo fu Stefano di fronte alla crisi del settore, che si acuisce negli anni '90, resta fedele ai propri principi: rifiuta di convertirsi in industria e parte alla ricerca di chi possa apprezzare il valore della tradizione. In quest'ottica nascono i punti di distribuzione all'estero: in America - sulla costa californiana e a Boston - in Inghilterra, Germania e, negli ultimi anni, in Giappone. I prodotti di Romanengo portano lontano l'antica confetteria e cioccolateria genovese, che ha nei negozi - in Soziglia e Via Roma - e nel laboratorio di Viale Mojon, il proprio punto di riferimento. Qui tutto è rimasto come un tempo: dal mescolatore di cacao, arrivato via mare dalla Francia a metà '800, alla raffinatrice di mandorle, fino agli indispensabili strumenti per snocciolare, tagliare e pungere la frutta.

Veri e propri «gioielli», simbolo di una tenacia che ha condotto l'azienda a festeggiare i 225 anni d'attività e ha premiato Pietro Romanengo col Grifo d'Argento.

Commenti