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L’Asmara italiana, patrimonio dell’umanità

Il centro storico della città eritrea progettato ai tempi di Mussolini inserito nell’elenco di cento siti da salvare

da New York

Salvate l’Asmara italiana: il centro storico della città eritrea, costruito tra 1935 e 1941 dai coloni di Benito Mussolini, è stato incluso nella lista dei cento siti storici più a rischio compilata ogni due anni dal World Monument Fund (Wmf). Il Fondo, una istituzione privata americana che in collaborazione con American Express ogni anno punta i riflettori su monumenti in pericolo, ieri a New York ha presentato la sua «top 100», che include anche siti in Italia, tra cui i trulli, e in altre parti del mondo, ad esempio la casa di Hemingway a Cuba, il Cyclorama di Gettysburg, in Pennsylvania, costruito tra 1958 e 1961 per ospitare un dipinto panoramico sulla omonima battaglia della guerra civile. È stato incluso in blocco tutto l'Irak (è la prima volta che nell'elenco viene messo un intero Paese).
«L'Asmara - dice il Wmf - ha una delle più alte concentrazioni del mondo di architettura modernista. Il suo centro urbano rappresentò un ardito tentativo di creare una città ideale basata sugli ideali della pianificazione architettonica», si legge nella motivazione della campagna lanciata ieri per salvare dalle minacce dello sviluppo gli oltre 400 edifici rimasti del periodo della colonizzazione italiana, tra cui lo straordinario teatro disegnato in uno stile eclettico e affreschi Art Nouveau da Oduardo Cavagnari.
La capitale eritrea, descritta talora come la Miami o la Latina dell'Africa, è il frutto di un esperimento architettonico radicale voluto dal fascismo determinato a costruire in fretta: un progetto urbanistico che non avrebbe probabilmente trovato favore nel più conservatore ambiente culturale europeo.
L'Asmara fu costruita quasi tutta in sei anni, a partire dal 1935, quando un massiccio influsso di coloni nella capitale della regione (la popolazione salì in quel periodo da quattromila a 45mila) rese necessario un drastico intervento urbanistico. «I coloni italiani in Eritrea usarono la città come una tela bianca per progettare e costruire la loro utopia in Africa», ha sostenuto in un libro recente Naigzy Gebremedhin, architetto della Mit e autore di «Asmara: Africa’s Secret Modernist City».
Dal momento che questa tela bianca era così lontana dalla madrepatria, gli architetti italiani ebbero le mani libere per sperimentare: il risultato è un mix eclettico, un cocktail di edifici futuristi come il garage Fiat Tagliero costruito per sembrare un aeroplano, di villini che potrebbero avere il loro posto sul Gianicolo a Roma, di facciate monumentali e austere in puro stile littorio.
L’attenzione sull’Eritrea è stata attirata ieri, ma per altri motivi, anche dall’Ufficio dell'Onu per il coordinamento degli interventi umanitari. Con un comunicato diffuso a Nairobi, l’Ocha ha denunciato il mancato arrivo dei fondi necessari alla sopravvivenza di circa due terzi dei 3,6 milioni di cittadini eritrei.

Sui 157 milioni (114 dei quali solo per cibo) richiesti per l'anno in corso, finora ne sono giunti meno di un terzo.

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